Riflettori puntati sulla crisi mediorientale, la polveriera libanese e il ruolo della missione Unifil al Senato per il question time rivolto al ministro degli Esteri Antonio Tajani. “L’escalation delle ultime ore ha aumentato significativamente il rischio di un conflitto regionale su vasta scala”, ha detto il titolare della Farnesina rispondendo alle interrogazioni.
“Il governo italiano, in qualità di presidente del G7, sta lavorando a tutti i livelli per evitare un ulteriore aggravamento della crisi in Medio Oriente. La via diplomatica è l’unica che può fermare una spirale di violenza e instabilità. La de-escalation è una condizione essenziale per riportare l’intero quadrante su dialogo e stabilità”. Tajani ha detto chiaramente che è necessario mantenere aperti i canali di dialogo e fare pressione su tutti gli attori coinvolti, compresi Hezbollah e Hamas. E ha indicato come centrale il ruolo dell’Onu e dell’Unifil. “Abbiamo sempre deplorato le azioni destabilizzanti di Teheran. Ma il canale di dialogo deve rimanere aperto. Chiediamo a tutti, assolutamente a tutti, anche a Israele, di interrompere questo drammatico ciclo di violenza e distruzione”.
“La soluzione diplomatica – ha aggiunto – ruota anche intorno al rafforzamento della capacità operativa di Unifil. Che deve essere messa nelle condizioni di svolgere appieno il suo mandato. Ma non dipende da noi prendere questa decisione, dipende dalle Nazioni Unite”. Sotto il profilo umanitario il ministro degli Esteri ha detto che quanto è successo a Gaza non può ripetersi anche in Libano.
Quindi la raccomandazione agli italiani in Iran – circa 700 – di tornare in Italia con i voli commerciali, “che – ha detto Tajani – sono in graduale ripresa. In una situazione sul terreno particolarmente complessa – ha aggiunto – ci stiamo adoperando per favorire un aumento dei collegamenti in uscita da Beirut, inclusi voli charter e altre modalità, su cui lavoriamo con il ministero della Difesa. Proprio in queste ore stiamo organizzando un volo charter speciale per trasferire in Italia circa 180 connazionali, che speriamo possano arrivare già stasera”.
Poi l’annuncio di voler aprire il G7 Sviluppo di Pescara del 22 ottobre con una conferenza internazionale umanitaria sul Medio Oriente, per far fronte alla difficile situazione in Libano e a Gaza. “Saranno presenti le agenzie delle Nazioni Unite, la società civile e le associazioni di categoria. Ne parlerò tra poco anche con l’Alto Commissario per i Rifugiati, Filippo Grandi”.
Sulla crisi in Medio Oriente e sugli ultimi sviluppi riguardanti la regione c’è stato un colloquio telefonico tra la premier Giorgia Meloni e la segretaria del Partito democratico Elly Schlein.
La Meloni ha posto la crisi in Medio Oriente in cima alla sua agenda politica e nel G7 riunito mercoledì scorso ha espresso la condanna dell’attacco iraniano e l’impegno comune per una soluzione diplomatica; martedì aveva sentito il primo ministro libanese Najib Mikati. Dunque la telefonata con Elly Schlein, arrivata subito dopo l’incontro a Palazzo Chigi con il presidente della Repubblica del Kyrgyzstan, Sadyr Japarov, con cui ha siglato alcune intese, in particolare sul fronte della giustizia e della cultura. Schlein sul tema aveva riunito la segreteria dem, perché c’è grande apprensione e preoccupazione per gli ultimi sviluppi internazionali. Dobbiamo fare e chiedere ogni sforzo al governo e alla Ue per fermare questa escalation devastante”, aveva aggiunto al termine della riunione, assicurando che “il Pd vuole fare la sua parte in Italia e in Europa per il cessate il fuoco”.
La telefonata sul Medio Oriente tra il premier e la leader dell’opposizione testimonia l’obiettivo di dare un segnale sulla volontà di ritrovare unità su un tema di estrema gravità che il governo sta affrontando. Un messaggio che Meloni ha voluto rilanciare, confidando che in questo momento così difficile si possa collaborare con senso di responsabilità, a maggior ragione considerando il ruolo che l’Italia riveste, al timone del G7. La premier, a quanto si apprende, non dovrebbe sentire da qui in avanti altri leader di opposizione: ha parlato con la leader del maggior partito del centrosinistra affinché anche agli altri arrivasse il suo messaggio di unità.
In questo momento di forte tensione in Medio Oriente, in Libano è stanziato un contingente composto da circa mille soldati italiani. Questo, insieme a militari provenienti da altri 50 Paesi delle Nazioni Uniti, è parte della missione Onu Unifil (United Nations Interim Force in Lebanon). La missione Unifil in Libano è una delle operazioni delle Nazioni Unite più lunghe. È iniziata nel 1978 per controllare il ritiro delle forze israeliane dalla parte meridionale del Paese per cercare di ripristinare delle condizioni di pace minime. Quella zona è sempre stata caratterizzata da una conflittualità che si trascinava e si trascina, purtroppo, da decenni. La partecipazione italiana è avvenuta da subito, ma con uno schieramento inizialmente limitato. C’è stato poi un incremento della nostra presenza sul territorio in termini di uomini, di mezzi e materiali dopo il cosiddetto ‘conflitto dei 34 giorni‘, nell’estate del 2006, quando Israele, a seguito di un attacco di Hezbollah, che ha portato alla morte di alcuni militari e al rapimento di due soldati israeliani. Dal 2006 opera un contingente che ora si è assestato sui 10mila uomini, forniti da circa 50 Paesi dell’Onu, e l’Italia in questo momento supera i mille uomini e donne, più una serie di mezzi e di equipaggiamenti militare che servono per supportare l’attività. La missione pattuglia l’area di responsabilità che è costituita da una battle zone, una fascia di sicurezza compresa tra il confine con Israele (la cosiddetta ‘blue line‘, che va dal mare fino al confine della Siria) e, a nord, il fiume Litani, che viene preso come riferimento settentrionale per questa fascia che era ed è ancora di responsabilità delle Nazioni Unite. I nostri militari, in caso di bombardamenti e combattimenti tra forze israeliane ed Hezbollah, hanno la consegna di ritirarsi nei bunker per evitare di essere presi dal fuoco delle due parti. Solitamente è Israele che avvisa il contingente dell’inizio di qualche azione. Anche se non sempre l’ha fatto, perché anche i miliziani di Hezbollah, osservando i comportamenti dei militari di Unifil, potrebbero rendersi conto dell’attacco imminente. Spesso i contingenti, anche quello italiano, si sono trovati in mezzo a scambi di fuoco.