Medio Oriente tra fatti traumatici e correzioni di rotta                                                                    

La morte del Presidente iraniano Raisi e la richiesta del procuratore presso il Tribunale dell’Aia che chiede l’arresto di Netanyahu e del capo di Hamas Yahya Sinwar, sembrano poter rendere ancora più radicali le posizioni dei principali contendenti nel conflitto mediorientale. La richiesta di arresto del Premier israeliano e del capo militare di Hamas, mettendoli sullo stesso piano, ha costretto l’opposizione a Netanyahu a fare fronte comune con il Premier. L’Iran, invece, attraverso la sua guida carismatica Khamenei, fa sapere che sostituirà il defunto Raisi con un altro leader altrettanto deciso. Ma spesso capita che i fatti traumatici possono portare a correzioni di rotta. Ì leader religiosi iraniani non possono non rendersi conto che nel Paese i giovani hanno una gran voglia di aprirsi al mondo e non vivere più in una società soffocata dall’oscurantismo religioso di matrice islamica. In Israele intanto Biden ha inviato il suo consigliere militare per la sicurezza con una bozza di accordo con i sauditi che contiene il riconoscimento di Israele e la strada verso la fine del conflitto con la creazione di due Stati. Netanyahu, dal canto suo, sembra ignorare l’iniziativa forte del fatto che in Israele, dopo l’attentato di Hamas del 7 ottobre, sono pochi i favorevoli alla creazione di uno Stato palestinese. Ma il Premier così facendo resta ostaggio della parte ortodossa e ultraconservatrice, senza contare che il popolo ebraico sta perdendo quella sorta di credito morale accumulato nei confronti del mondo per la Shoah. A questo si aggiunge la decisione dell’Aia di chiedere il suo arresto, ponendolo sullo stesso piano dell’ideatore dell’attacco del 7 ottobre, che completa il quadro di erosione dell’immagine di Israele nel mondo. Per la Casa Bianca la questione mediorientale è più importante per due motivi: uno riguarda la campagna elettorale di Biden che trova sempre più ostacoli sulla sua strada a causa delle contestazioni degli studenti pro Palestina, l’altro è la sua incapacità a farsi ascoltare da Israele di cui è stato sempre uno strenuo sostenitore. E Trump non perde tempo nell’infilzarlo. Su tutto incombe l’incubo dello spettro del Vietnam che ritorna e che porto’ con se’ il 1968. A questo punto il Premier israeliano appare orientato ad andare avanti spinto dai suoi calcoli di sopravvivenza politica, dalla pressione della destra, dall’ostinazione dei coloni che hanno occupato i territori della Cisgiordania sottoponendo i Palestinesi locali ad angherie e soprusi di ogni genere. Continuando a bombardare la popolazione civile si finisce inevitabilmente per alimentare l’odio dei giovani palestinesi e il ritorno all’idea di un unico Stato con i Palestinesi relegati al ruolo di cittadini di serie B, manterrà viva la fucina dei ribelli ed il rischio per Israele di essere costretto a cercare i bersagli della lotta al terrorismo in fasce sempre più ampie della popolazione civile. Le guerre contro il terrorismo hanno insegnato che non ci si chiede quanti terroristi si uccidono, ma anche quanti se ne creano. Con questo voglio dire che il conflitto Israelo-palestinese finirà per creare una nuova generazione di terroristi, animati dal desiderio di vendetta.

Andrea Viscardi

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