‘L’Italia sta perdendo il treno dell’Intelligenza artificiale. Lo sta perdendo per mancanza di competenze, mancanza di investimenti e soprattutto per mancanza di visione strategica’, è il messaggio che emerge da uno studio condotto da Teha in collaborazione con Microsoft Italia, presentato al Forum di Cernobbio, intitolato “AI 4 Italy: from theory to practice”. Studio che rileva come la gran parte delle aziende tricolori stia già integrando soluzioni di AI generativa nei propri processi e prodotti, riconoscendoci un fattore competitivo fondamentale per i prossimi anni. Ma anche come i loro sforzi siano penalizzati dalla scarsità di talenti, da un ecosistema tecnologico lontano dalla frontiera e dall’assenza di una politica industriale che metta l’IA al centro. Vedere per esempio la vacuità e la lentezza dell’AI Act italiano, la legge di settore promossa con grande pompa dal governo e che ora si trascina in Parlamento, mentre tutto il mondo corre.
‘La “sfida” dell’Intelligenza artificiale, che aprirebbe “scenari catastrofici se venisse usata per aumentare le disuguaglianze’, afferma Giorgia Meloni che affronta i principali temi di questo “quadro globale particolarmente complesso”, ribadendo la linea già impressa come presidente del G7.
Intervenuta in video, perché impossibilitata a raggiungere fisicamente il summit, Meloni si è rivolta ai rappresentanti dei Parlamenti dei sette grandi, ricordando le “ricadute a 360 gradi” dei conflitti e della crescente instabilità e l’impegno non solo dei governi, ma anche dei Parlamenti per affrontarle. “Lo lo dico da parlamentare ancor prima che da capo di governo, io penso che lo sviluppo e il rafforzamento della dimensione parlamentare del G7 rappresenti assolutamente un valore aggiunto”, ha sottolineato tra l’altro nel suo intervento il premier., ricordando che i governi esercitano il proprio ruolo nel G7, “seguendo le indicazioni dei rispettivi parlamenti nazionali, dove cioè la sovranità popolare trova la sua massima espressione”.
Sul tema dell’intelligenza artificiale, tema centrale per la presidenza italiana del G7, che Meloni si è soffermata più a lungo. Ricordando i lavori sull’argomenti svolti al G7 di Borgo Egnazia e l’intervento del Papa al riguardo, Meloni ha ribadito che l’Ia ha bisogno di “un’ispirazione etica, che sia cioè ordinata al bene di ogni essere umano”. “L’intelligenza artificiale – ha sottolineato il premier – è un grande moltiplicatore, la domanda che dobbiamo porci come politici è ‘che cosa vogliamo moltiplicare con l’Ia?’. Se questo moltiplicatore venisse essere usato per trovare cura a malattie oggi incurabili concorrerebbe al bene comune, ma se dovesse invece essere usato per aumentare le disuguaglianze e divaricare gli equilibri mondiali, allora ne deriverebbero scenari potenzialmente catastrofici”.
“Spetta alla politica, alla sana politica – ha quindi avvertito Meloni – rispondere a questa domanda. Se la politica delegasse questa risposta agli algoritmi o alle macchine avrebbe abdicato al suo ruolo con conseguenze oggi inimmaginabili”. Per questo “la riflessione del Santo Padre non a caso era rivolta a noi e noi dobbiamo saper cogliere la potenza della sua esortazione”, ha proseguito, rivolgendosi sia a “chi ha responsabilità di governo ma soprattutto ai Parlamenti, che sono il cuore delle nostre democrazie perché sono dei luoghi in cui tutti i cittadini sono pienamente rappresentati, le diverse visioni del mondo si confrontano, trovano una sintesi e si tramutano in risposte per i cittadini”.
“Cosa saremo capaci di fare per garantire che l’intelligenza artificiale sia controllata dall’uomo e incentrata sull’uomo e al servizio dell’uomo? Dalla risposta a questa domanda sapremo se la politica ha assunto il suo ruolo o ha abdicato”, ha spiegato Meloni, dicendosi “contenta di dire che la politica non sta abdicando come dimostrano gli esiti del summit G7, con impegni assunti nelle dichiarazioni finali e con un lavoro che stanno facendo anche le varie ministeriali che consentono significativi passi avanti”. Quindi Meloni ha ricordato che, dal momento che “siamo consapevoli che questa rivoluzione avrà conseguenze su tutti i settori e sulla vita di milioni di lavoratori”.
Lo studio stima nella bellezza di 312 miliardi di euro il potenziale impatto sul Pil italiano, nei prossimi 15 anni, di un’adozione diffusa dell’IA, vale a dire un aumento di 18,2 punti percentuali. Per le aziende italiane: il 100% di quelle intervistate – contro il 78% dello scorso anno – hanno già adottato o prevedono di adottare soluzioni di IA generativa, e la metà sperimenta aumenti di produttività superiori al 5%. Il problema è che nell’era della corsa all’oro dell’IA alcuni ritardi cronici dell’Italia si stanno facendo ancora più pesanti. Il 63% degli imprenditori dice che le competenze sull’IA non sono ancora diffuse: l’Italia è settima in Europa per programmi di studio dedicati, un ritardo al quadrato visto che l’Unione è a sua volta molto dietro a Regno Unito e Stati Uniti. Tra i Paesi Ocse siamo solo sedicesimi per competenze, situazione aggravata dalla fuga dei cervelli. La diffusione delle startup dedicate all’IA d’altra parte è limitata, anche a causa di investimenti che ci valgono solo il ventesimo posto al mondo, in attesa che Cassa depositi e prestiti inizi a movimentare il miliardo che nel suo nuovo piano industriale ha dedicato agli algoritmi. Ci vorrebbe comunque un importante effetto leva per portarci al livello degli altri grandi Paesi europei, che rappresentano comunque la serie B rispetto agli irraggiungibili Stati Uniti.
Il tema decisivo allora, secondo lo studio, è quello della governance, cioè di istituzioni che integrino l’IA nella programmazione economica di lungo periodo.