Meloni e il fattore Donald

 

I patrioti nazionalisti di Victor Orban e Matteo Salvini, non costituiscono alla fine per Giorgia Meloni un pericolo, né possono relegarla ai margini della destra europea, perché fino a che rimane a Palazzo Chigi, sia Bruxelles che Washington devono concordare con lei la linea da seguire. Il problema potrebbe essere Trump, Presidente. Dato per scontato che la Presidente del consiglio non tifa, almeno apertamente per Kamala Harris, nel suo partito, però, al 90%, sono filo-trumpiani e lei stessa non ha mai nascosto le simpatie per i repubblicani, ma la pietra di inciampo è Trump e la sua teoria di imporre a livello commerciale dazi sulle merci importate sia dall’ Europa che dalla Cina. Si spiega così la cautela della Meloni su un’ eventuale ascesa del tycoon alla Casa Bianca e su quella dei suoi fan continentali guidati dalla Le Pen, Orban e Salvini. Del resto la Premier nel recente viaggio per partecipare all’ Assemblea delle Nazioni Unite, ha riferito ai cronisti che non ha avuto contatti con lo staff di Trump, al netto poi dell’ incontro con Musk per ricevere il premio. Appena tornata a Roma ha convocato i suoi consiglieri per fare il punto sul suo viaggio negli Usa e soprattutto per elaborare una strategia in caso di vittoria di Trump e di una riedizione dell’ America First, che potrebbe mettere in difficoltà il nostro Paese a causa dei dazi e anche per i rapporti commerciali, che l’ Italia intrattiene con la Cina. Un grosso ostacolo che il nostro governo si troverebbe a gestire, avendo a disposizione uno Stato con le casse vuote. Quindi alcuna difficoltà dal punto di vista politico, perché un’ eventuale vittoria repubblicana, in Europa, inciderebbe relativamente nei rapporti di forza all’interno delle destre europee, soprattutto quella italiana, che nonostante la presenza di Salvini, il primo interlocutore resterebbe la Meloni, in quanto Premier. L’ ansia di Palazzo Chigi è la bilancia commerciale che si tingerebbe ancora più di rosso, in caso di aumento dei dazi da parte degli Usa perché porterebbe ad una contrazione delle esportazioni. A questo punto Roma si troverebbe ad affrontare tempi molto difficili. Al termine del mandato di Trump l’ export verso gli Usa era del 16%, a distanza di un anno dall’ insediamento di Biden ebbe un balzo in avanti, 31,9%. Il sovranismo di Trump e dei patrioti rispetto alla questione ucraina, invece, è meno difficile da gestire. L’ atteggiamento della Meloni verso Zelensky, da qualche mese è più tiepido e continuerà così fino al 4 novembre, quando si voterà al di là dell’ atlantico. Il fattore Donald toglie il sonno a Giorgia Meloni.

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