Giorgia Meloni ed Enrico Letta incrociano ancora una volta le lame nell’ennesimo duello. «Siamo un po’ come Sandra e Raimondo della politica italiana», scherzò una volta lei per rimarcare la frequenza degli incontri/scontri. Ma è giusto così: sono loro i leader dei due partiti più votati. Analisi diverse e terapie opposte, ma nel solco di un reciproco rispetto ormai merce rarissima alle latitudini italiane. Lo si è toccato con mano oggi alla presentazione del libro di Giovanni Orsina “Una democrazia eccentrica“, quando la leader di FdI e quello del Pd si sono ritrovati a parlare di assemblea costituente. È stata la Meloni ad introdurre l’argomento dopo aver ricordato la recente bocciatura in Parlamento della riforma presidenzialista.
«L’abbiamo proposta – ha spiegato – perché penso che in questo tempo la democrazia parlamentare non sia in grado di funzionare. Ma non è passata. Allora faccio un’altra proposta a Letta: perché non eleggiamo insieme un’Assemblea costituente per le riforme per la prossima legislatura?». Soluzione evidentemente troppo ardita per il segretario dem, tuttora convinto che basti il “cacciavite” a garantire l’ordinaria manutenzione di un sistema politico-istituzionale in realtà fatiscente. «Le riforme vanno fatte in Parlamento e il nostro sistema si può migliorare», ha infatti obiettato. Quanto al semipresidenzialismo alla francese, Letta ha fatto sapere che non gli piace. «Preferisco il sistema italiano – ha scandito -. In Francia c’è un presidente che al primo turno prende di solito tra il 25 e 30 per cento e quando c’è un momento di crisi, come con i gilet gialli, si trova il 75 per cento del Paese contro».
Non proprio un argomento convincente, ma tant’è. Tanto più che Letta ha parlato di «democrazia profondamente in affanno», di «Parlamento frammentato» come confermano i «tre governi con tre maggioranza diverse». Rischia anche l’attuale e lui lo ammette: «Gli incidenti si stanno accumulando e troppi incidenti possono far deragliare la macchina del governo». L’ultimo con l’elezione della senatrice Stefania Craxi alla guida della commissione Esteri. Un blitz che ha indotto lo sconfitto Giuseppe Conte a tradurre quel voto coma la nascita di una nuova maggioranza con dentro FdI. Lettura respinta al mittente dalla Meloni: «Conte usa il suo metro, ma io non faccio alleanze con chi ho detto con cui non faccio alleanze. Non c’è una nuova maggioranza».
L’elezione a presidente della Commissione Esteri del Senato di Stefania Craxi in realtà fa esplodere la maggioranza. Giuseppe Conte tuona sul fatto che «oggi registriamo che di fatto si è formata una nuova maggioranza, che spazia da Fratelli d’Italia sino a Italia Viva. Si è formata violando patti e regole», mentre analisti e parlamentari si affannano per decifrare il voto segreto e capire se ci sia stato del “fuoco amico” contro il candidato M5S Ettore Licheri. Eppure il risultato della conta che ha anche consegnato la maggioranza al caos e il M5S al vero e proprio psicodramma non è arrivato a sorpresa. Era anzi ampiamente annunciato, ma ugualmente il M5S si è incaponito su un proprio nome e il Pd gli è andato dietro, forse anche con una certa malizia.
«Dice il saggio: Regola n. 1. Quando sai di non avere i numeri e invece di fare politica ti incaponisci ad andare a una conta a scrutinio segreto, non prendertela con gli altri ma con te stesso», ha commentato il sottosegretario all’Interno Ivan Scalfarotto di Italia viva, partito che aveva lanciato un appello all’unità e che oggi può legittimamente sventolare la bandiera del “noi l’avevamo detto”.
Al capo politico 5Stelle assesta un’altra stoccata sul tema delle armi all’Ucraina. «Mi corre l’obbligo di ricordargli – ha rimarcato la Meloni – che chi ci starebbe portando a un escalation è il suo ministro degli Esteri. Se non è d’accordo allora ritiri Di Maio dal governo e passi all’opposizione. Nella vita bisogna essere conseguenti o si rischia di perdere la faccia». Per la leader della destra, «l’unica cosa che rimane da fare è andare a votare. Auspico – ha concluso – che le forze politiche se ne rendano conto». Su un punto i due leader convergono totalmente: i loro partiti non governeranno mai insieme, neppure in presenza di un’emergenza. «C’è una concezione completamente diversa con Giorgia Meloni», ha spiegato Letta. Con l’assenso convinto della sua interlocutrice.