Meloni guiderà l’Europa nell’era Trump? Mario Draghi non ci crede: «Francia e Germania ora deboli, ma non vedo altri leader»

A Parigi, Giorgia Meloni e Donald Trump si sono incontrati per consolidare un rapporto che, secondo il deputato Antonio Giordano di Fratelli d’Italia, è il frutto di una trama politica intessuta con maestria. Durante un intervento a Zapping su Rai Radio 1, Giordano, segretario generale di Ecr party, ha offerto una chiave di lettura accurata su questo incontro: una strategia che guarda al modello di Silvio Berlusconi, capace di trasformare le relazioni istituzionali in legami personali.

«L’incontro tra Donald Trump e Giorgia Meloni è il risultato di un filo già teso da tempo. Gli americani hanno votato Trump e, con lui Musk», ha osservato Giordano, definendo la premier come «un interlocutore naturale» del tycoon. «È questo il cambio di passo che Meloni ha introdotto, seguendo una strada già tracciata da Berlusconi: trasformare i grandi rapporti politici in relazioni personali, che rendono più semplice e diretto il dialogo».

Giordano affronta il tema dei dazi annunciati dal nuovo presidente americano: «Sul tema dei dazi c’è stata un’interpretazione, diciamo, restrittiva di questa vicenda. È stato detto dai repubblicani: “Abbiamo una serie di questioni da sistemare legate al riordino della nostra bilancia commerciale, tra cui una problematica con l’Europa”. È certamente una questione presente nei dossier, ma non è tra le priorità. Sul desk ci sono i dossier relativi a Cina, Canada e Messico».

La Cina emerge come il vero bersaglio della strategia commerciale trumpiana, «non ci sono dubbi », afferma il segretario generale forte del suo recente viaggio a Washington. «Mentre nei confronti di Canada e Messico il neoeletto adotta un approccio molto più collaborativo, quasi a voler dire: “Sistemiamo alcune cose, altrimenti sarò costretto a intervenire”», riporta Giordano. Quanto all’Europa, Giordano è stato categorico: «Se Trump perdesse l’alleanza con l’Europa, quali altri alleati rimarrebbero? Non avrebbe senso depauperare un partner così importante».

Un dettaglio interessante arriva dalle relazioni sempre più strette tra Fratelli d’Italia e i parlamentari statunitensi: «Di questo aspetto ho parlato con diversi esponenti americani al Congresso, tra cui l’onorevole Andy Harris, Carol Miller e Gary Palmer. Palmer, tra l’altro, sarà in collegamento con noi ad Atreju, è una notizia.”

Sul fronte della Nato, Giordano ha ricordato il pragmatismo del capo del movimento Maga: «Trump non agisce dopo, avvisa prima. Dice chiaramente: “Mettetevi in regola, perché chi non è in regola non può restare nella Nato”». Un messaggio che trova eco nelle parole del ministro della Difesa Guido Crosetto, il quale ha riconosciuto la necessità di accelerare sul finanziamento della difesa italiana. «Dobbiamo immediatamente organizzarci per raggiungere il livello del 2% previsto per la difesa, e potrebbe essere necessario arrivare al 2,5%. Dombrovskis, commissario europeo, ha confermato che il fondo per la difesa europea sarà notevolmente aumentato. Insomma, il meccanismo si è già messo in moto», dice il segretario generale di Ecr party.

Per Giordano, l’Italia è in una posizione privilegiata all’interno dell’Alleanza atlantica: «Sono sicuro che Meloni negozierà per valorizzare il contributo italiano, considerando che siamo tra i paesi che forniscono il maggior numero di militari, probabilmente anche i migliori».

Un altro tema delicato riguarda le dinamiche interne alla maggioranza di governo e la corsa a costruire rapporti con Trump. Giordano non si sottrae: «C’è sicuramente una competizione, ma è una competizione sana. Salvini è perfettamente legittimato a cercare un rapporto con Trump. Detto questo, Giorgia Meloni non è la sola a cercare un’interlocuzione, e per fortuna. Se fosse sola, si potrebbe pensare a divisione nella maggioranza. In realtà, siamo tutti d’accordo che con Trump si possa lavorare bene».

«La leadership franco-tedesca s’è indebolita, ma non vedo altre leadership in grado di guidare l’Europa, almeno per il momento», ha detto Mario Draghi intervenendo all’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano (Ispi), che lo ha insignito del suo premio annuale dedicato a «personalità che hanno contribuito a rafforzare l’immagine dell’Italia nel mondo». Mai menzionata Giorgia Meloni, che Draghi dunque non enumera come leader in grado di “prendere per mano” l’Europa orfana dei suoi due pesi massimi, con Emmanuel Macron alle prese con una difficilissima crisi politica interna e Olaf Scholz al passo d’addio. Più probabile, secondo l’ex governatore della Bce, che a colmare quel vuoto di leadership – o per lo meno di azione – sia nel breve periodo Ursula von der Leyen. «La Commissione in questo contesto avrà molto più peso per la guida dell’Europa», ragiona Draghi rispondendo alle domanda di Sarah Varetto. Fermo restando, comunque, che già tra pochi mesi più di qualcosa potrebbe cambiare a Berlino: «Vediamo il risultato delle elezioni tedesche, poi ne riparliamo». Riferimento implicito alla corsa elettorale tedesca, che vede al momento la Cdu strafavorita per tornare al governo del Paese con una solida maggioranza. Draghi d’altronde non fa mistero di considerare le ricette sovraniste una iattura, per il semplice fatto che chiunque vada al governo oggi in Europa «si deve porre di fronte alla necessità di percorrere una strada dove solo l’integrazione di alcune aree permette quel salto di qualità che il quadro richiede per sopravvivere dal punto di vista economico». Di fronte all’enormità di questa sfida «esistenziale», l’ex premier riassume volentieri la sua ricetta per la leadership: «La gente vuole da un leader competenza e visione, saper immaginare un futuro ma anche portare con sé il Paese». E nessuno sa meglio di lui come lo deve fare in primis «chi passa dalle elezioni e riceve la legittimazione dai cittadini a fare delle riforme. Questo dà forza ma anche scopo al suo mandato».

Draghi vede bene i pericoli esistenziali che corre l’Europa, ma proprio per questo è fiducioso che la portata delle sfide la condurranno a trovare la soluzione. Anche sulla questione politicamente sensibile dell’indebitamento comune. «La convenienza di farlo è fuori discussione. Si pensi al valore di investimenti comuni nel mercato elettrico o nel settore della difesa. La dimensione degli investimenti necessari va ben oltre il bilancio degli Stati. Quando una cosa è giusta, ragionevole e sensata non tutti si mettono in fila per farla. Ma si vede che c’è un movimento “millimetrico”, come diceva Merkel, verso la razionalità. E lo si vede dalla discussione che si sta svolgendo in questo momento in Germania», nota soddisfatto Draghi. Che la mette giù chiarissima: «La sfida che viene descritta nel rapporto è una sfida esistenziale. Se vinta, permette all’Europa di continuare ad evolversi in conformità ai suoi valori, di pace, libertà e indipendenza, e di crescere. È una sfida che dobbiamo vincere, perché al centro ci sono i nostri valori».

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