Meloni tra Ue, ratifica del Mes e sforamento del deficit

Approvare la riforma del Meccanismo europeo di stabilità in cambio di un nuovo sforamento del deficit. Sembrerebbe essere questa la strategia del governo Meloni per la prossima legge di bilancio. Strategia che viene fuori quando viene dato il via libera alla Nota di aggiornamento al Def, che prevederà più spesa in deficit nel 2024, fino a 12 miliardi. Soldi che serviranno a coprire circa metà di una manovra poco sopra i 20 miliardi, ma che senza il soccorso dell’indebitamento sarebbe ancora più austera.

I numeri che inquadrano la linea scelta dalla premier Giorgia Meloni e dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sono quelli del rapporto deficit/Pil. Il deficit programmatico dovrebbe stare al 4,3 per cento. Quello tendenziale, invece, dovrebbe aggirarsi tra il 3,7 per cento e il 3,9 per cento. Il che aprirebbe uno spazio in deficit di 0,4-0,5 punti percentuali, ovvero risorse per circa 8-10 miliardi da destinare in primis al taglio del cuneo fiscale.

Nel Documento di economia e finanza, ad aprile, la riserva ammontava a 4,5 miliardi, per una differenza tra il deficit programmatico (3,7%) e quello tendenziale (3,5%) dello 0,2%.

Altri numeri, sempre all’interno della Nadef, svelano lo stato di salute dell’economia italiana. Gli entusiasmi sul Pil sono ridimensionati: l’orientamento prevalente è far calare la previsione dall’1,5 per cento a circa l’1,2-1,3 per cento. Dalla stima definitiva del prodotto interno lordo dipenderà l’assetto finale del rapporto deficit/Pil. Scenderà, anche se di pochissimo, il debito.

Il segnale positivo sul debito, seppure contenuto, sarà indicato a Bruxelles come un impegno che va avanti nonostante un quadro macroeconomico negativo. Ma non basterà. La premier Meloni avrebbe ribadito ai suoi più stretti collaboratori che bisogna preparare il Parlamento alla ratifica della riforma del Mes.

Le prime indicazioni della Nadef sembrano costruite per avviare un negoziato al rialzo. Meloni e Giorgetti – come spiega Repubblica – cercano di inserire nello stesso piatto la ratifica del Mes e la riforma del Patto di Stabilità. Con ogni probabilità si tratta di un tentativo che verrà in primo luogo respinto dagli Stati membri prima che dalla Commissione. Dieci giorni fa, durante la riunione dei ministri finanziari dell’Ue che si è svolta a Santiago de Compostela, l’avvertimento lanciato dal ministro dell’Economia tedesco, Christian Lindner, è stato chiaro e netto: «Quest’anno, nonostante le difficoltà, noi presenteremo un rapporto deficit-Pil al 2,5 per cento». Cioè ben al di sotto del 3 fissato dai parametri ufficiali.

Dalle prime indiscrezioni sulla manovra, l’extradeficit di 9 miliardi sarà interamente dirottato sulla riduzione del cuneo fiscale. In effetti questa è una delle misure suggerite dalla stessa Commissione a varie riprese. Da questo punto di vista lo spread tra l’Italia e molti altri Paese dell’Unione è ancora molto alto. Ma su tutti gli altri esborsi potrebbe non esserci l’avallo di Bruxelles. Andrà considerata anche la durata dell’intervento sul cuneo. Se sarà strutturale o contingente. Perché è evidente che una misura del genere, introdotta a pochi mesi dal voto europeo, acquisirà il sapore di una mossa da campagna elettorale.

E poi c’è il Superbonus. La comunicazione di Eurostat ha chiarito che quest’anno i crediti fiscali relativi ai maxi sconti edilizi vanno classificati nei conti pubblici come «pagabili» nel 2023. Il fardello, quindi, viene scaricato quasi completamente sull’anno in corso. Ma sempre Eurostat ricorda al governo che c’è da risolvere il problema dei crediti incagliati, anche se viene concessa una certa tolleranza, fino a giugno dell’anno prossimo, per valutare l’impatto sulle finanze. Intanto il deficit di quest’anno assorbirà il peso della zavorra. A completare il quadro un Pil che scenderà allo 0,8 per cento, sotto la soglia psicologica dell’1 per cento, indicata ad aprile.

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