Meloni trionfa al Meeting di Rimini

Si è chiuso il Meeting di Rimini che ha catalizzato le attenzioni della scena politica mettendo sullo stesso palco tutti i leader dei maggiori partiti. Hanno partecipato Giorgia Meloni in collegamento da Roma e, in presenza, Matteo Salvini, Enrico Letta, Giuseppe Conte, Antonio Tajani, Ettore Rosato per Italia Viva e Maurizio Lupi, nella veste di presidente dell’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà. ‘Allora è vero: si può discutere senza urlare’, è stato il titolo di un commento del Corriere della Sera, che all’incontro ha dedicato ampio spazio, compresa una paginata sull’applausometro. Ovvero sull’accoglienza che la platea di Rimini ha riservato a ciascun leader e ai suoi interventi.

L’incontro – si legge nella presentazione degli organizzatori – assume un particolare significato nel momento in cui la politica è chiamata a un banco di prova decisivo: rilanciare il Paese dopo la pandemia. Quel che è avvenuto non solo negli ultimi anni, ma in tutta la Seconda Repubblica, mette in luce il bisogno di una nuova stagione di rifondazione della cultura politica, in cui venga superata la logica della contrapposizione sterile, della disintermediazione e della sudditanza ai meccanismi della comunicazione. Che cosa significa, oggi, mettere il pluralismo della democrazia a servizio del bene comune? Quale cambiamento spetta ai partiti? Come ricostituire un rapporto costruttivo tra partiti, istituzioni, società civile e corpi intermedi? In altre parole: quale contributo – domanda il Meeting di Rimini– può dare la cultura sussidiaria al sistema-Paese?».

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‘Allo stand di Radio Maria, Matteo accarezza la platea, ma a Giorgia più applausi. Le battute dell’avvocato’, è il titolo dell’articolo firmato da Cesare Zapperi. L’inviato del Corsera racconta di come Salvini, prima del dibattito, si sia ‘infilato nello stand di Radio Maria e messo al microfono’ e di come, poi dal palco abbia ‘piazzato lì due-tre argomenti cari alla platea (dalle radici giudaico-cristiane dell’Europa alle battaglie del Movimento per la vita) che gli sono valse battimani a scena aperta’.

Non abbastanza, però, da superare quelli riservati alla Meloni, che a giudizio del Corriere della Sera è stata la vera ‘vincitrice’ della ‘sfida’ tra leader, consumata a suon di domande su Afghanistan, riforme, ruolo dei partiti.

Meloni, ‘sorridente, pacata, in collegamento esterno con bandiera tricolore alle spalle’, si legge sul Corriere ha poi trionfato, strappando ‘una mezza standing ovation’, nell’uno a uno contro Giuseppe Conte sul tema della fisionomia dei partiti, che per la leader di FdI ‘esistono solo se sono pesanti, quando hanno le sezioni e c’è il contatto con le persone’. Ma è stato con la leggerezza che Meloni ha assestato il punto partita. Quando è stata vittima di un piccolo black out audio, il direttore di Qn, Michele Brambilla, che moderava il dibattito, ha scherzato su una manovra ai danni dell’opposizione. ‘No, no, ho fatto tutto da sola’, ha sdrammatizzato Meloni, strappando l’ennesimo applauso. E anche il Fatto quotidiano ha dovuto ammettere: ‘Applausi per Meloni, molti meno per Conte’.

Conte è portato all’autoelogio, ‘noi dei 5stelle  facciamo quello che va fatto quando si ha un incarico pubblico. Non siamo fenomeni, ma mettiamo l’etica pubblica al primo posto, la legalità’. Alla Cattolica per un appuntamento elettorale poi parla di lavoro e di dialogo con i talebani. Le reazioni sono dure e gli arrivano sberleffi anche da quelli che, attualmente, sono ‘alleati di governo’.

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