MES, Governo prepara la retromarcia: pronti alla ratifica

Segnali arrivano dall’incontro tra Donohoe e Giorgetti e l’esecutivo – ormai rassegnato – non ha alcuna intenzione di forzare la mano con Bruxelles: “Non abbiamo altra scelta”

Il Mes s’ha da fare: al netto delle dichiarazioni di facciata, nell’esecutivo cresce sempre di più la consapevolezza che la ratifica è solo questione di tempo. Lo sa bene il Ministro dell’Economia Giorgetti: “non abbiamo altra scelta”, è quanto avrebbe ribadito ai colleghi di governo dopo il colloquio col presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe che, nei giorni scorsi, durante la sua visita a Roma ha lanciato un chiaro messaggio.

“Negoziamo accordi con la buona fede che tutte le parti rispettino i propri impegni. Questa fiducia è fondamentale per il funzionamento dell’Ue”. In una situazione “molto difficile” ogni “passo per rafforzare l’Unione economica e monetaria invia un segnale forte”, ha detto Donohoe nell’ intervento all’Istituto Sturzo, dicendosi “convinto che riusciremo a compiere progressi nella ratifica e nell’attuazione del trattato Meccanismo europeo di stabilità (Mes)”. E’ una riforma “fondamentale” che “ci offre strumenti più comuni per affrontare le crisi”. Parole tutt’altro che sibilline.

Ovviamente, si affrettano a chiarire il Governo, la ratifica del Mes non significa che l’Italia ricorrerà al fondo “Salva Stati”. Anzi. “Finché io conto qualcosa, che l’Italia non acceda al Mes lo posso firmare con il sangue”, ha garantito il Presidente del Consiglio alla fine di dicembre.

Finora Roma ha temporeggiato in attesa di notizie da Berlino: insieme all’Italia, infatti, la Germania era l’unico Paese dell’Eurozona a non aver ancora ratificato la riforma del MES, attendendo proprio la pronuncia della Corte di Karlsruhe che è arrivata gli inizi di dicembre quando ha respinto il ricorso sul MES, dando di fatto il via libera alla ratifica.

A questo punto l’Italia rischia l’isolamento visto che di fatto resta l’unico Paese ad opporsi da anni al fondo salva-Stati. La novità è che però, a differenza di quanto accadeva quando il centrodestra era all’opposizione il Governo non ha alcuna intenzione di forzare la mano con Bruxelles. “Non ha senso lasciare bloccati lì decine di miliardi di euro che potrebbero essere usati diversamente”, predica Meloni che dunque prepara la retromarcia.

Anche per questo il primo faccia a faccia tra Ursula e Giorgia, due mesi fa a Bruxelles, dove il nostro premier era volato per «far vedere all’Unione che non siamo marziani», era stato cortese ma teso, tipo vertice tra stoccafissi. Il ghiaccio si è sciolto, almeno così giura chi era presente all’appuntamento, ben più di quanto non si intuisca dai laconici comunicati. «Perché si è lavorato e non si è fatto festa» è la spiegazione che filtra. Argomenti sul tavolo, quelli previsti: come procede il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, gli effetti della manovra italiana appena licenziata dal Parlamento sull’economia e sui conti del Paese, l’inflazione e il caro materie prime, l’immigrazione dal Nord Africa, tassa europea che paga solo l’Italia, e come fare per collettivizzare il problema.

Von der Leyen capisce di economia forse meno della governatrice della Bce, Christine Lagarde, e gode di autonomia zero rispetto agli Stati che rappresenta, Germania inclusa.

Sull’immigrazione poi, la Ue ha già chiarito che nessuno intende aiutare l’Italia come Roma vorrebbe, e certo Ursula non canta fuori dal coro. Qualche buona notizia arriva sull’inflazione, dove noi portiamo avanti l’idea che fu di Draghi di creare un fondo europeo che fermi il boom dei prezzi ma la Ue a trazione tedesca preferirebbe piuttosto consentire ai Paesi membri di indebitarsi ancora di più a patto però di cavarsela da soli. Ci è venuto in soccorso il presidente dell’Eurogruppo, cioè dei ministri delle Finanze, Pascal Donohoe, irlandese, che era a Roma però non con von der Leyen, ma per incontrare Giorgetti.

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