Michele Placido protagonista della Domenica Con di Rai Storia

Michele Placido, io come Clint Eastwood, non mi fermo

“Con l’esperienza viene voglia di rinnovare il linguaggio, sperimentare nuove tecnologie. Mi è capitato ora con il mio nuovo film su Caravaggio.

E’ una storia ambientata nel ‘600, ma abbiamo usato le ultime innovazioni per ricostruire la Roma storica. E allora poi ti vengono in mente altre idee, nuove serialità. D’altronde – sorride Michele Placido – Verdi ha scritto le sue più belle arie a 70 anni.

Eastwood a 80 firma capolavori. Ecco, mi sento un po’ il Clint Eastwood italiano: non vedo ancora il traguardo dove fermarmi”.

Anzi, con una punta di orgoglio, annuncia  che il suo Michelangelo Merisi con lo sguardo di Riccardo Scamarcio sarà “a Cannes o a Venezia. I coproduttori francesi lo vorrebbero da loro. Io terrei anche a Venezia, perché è un festival importante, in cui una storia italiana come quella di Caravaggio figurerebbe benissimo”.

Attore, regista, più di 50 anni vissuti su palcoscenico e set, neo presidente del Teatro Comunale di Ferrara, tra gli autori del docufilm collettivo sulla pandemia “Europe C-19” (che ha coinvolto cinque Paesi e altrettanti registi come Michael Winterbottom per la Gran Bretagna, Julia von Heinz per la Germania, Fernando León de Aranoa per la Spagna, Jaco Van Dormael per il Belgio).

Si parte  dal Sessantotto, quando, da giovane poliziotto, si trovò nello scenario della contestazione di Valle Giulia e intanto studiava all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico.

Tra le sue prime prove d’attore, Il Picciotto di Alberto Negrin nel ’73. “Quegli anni – racconta Placido – li ho vissuti su entrambi i ‘fronti’. Da una parte c’era la voglia di ribellarsi alle ingiustizie sociali, dall’altra la coscienza dell’uomo d’ordine. Attore e poliziotto, sono due anime che mi sono rimaste addosso e che ho ritrovato indossando la divisa di Cattani per La piovra. Oggi i commissari in tv sono tanti, vanno benissimo e ne sono felice. Non dovremmo però dimenticare la lezione di Francesco Rosi o Leonardo Sciascia, che hanno ‘usato’ i commissari per raccontare cose gravi, scandali, le connessioni tra politica e malavita, gli omicidi di Falcone e Borsellino.
C’è bisogno di storie così. Mi piacerebbe vedere una serialità sulle infiltrazioni mafiose, di cui ho letto, nel commercio dei vaccini o sulla malasanità al tempo del Covid. Non si vede ancora nulla del genere, perché?”.

Si passa poi a Placido regista, con il documentario Rosarno Blues e Pummarò, sua prima volta dietro la macchina da presa e, in prima serata, Un viaggio chiamato amore, storia del poeta Dino Campana e della scrittrice Sibilla Aleramo. “Dopo aver lavorato con tanti grandi maestri, come Bellocchio, Damiani, Rosi, Monicelli – ricorda – a un certo punto arriva la voglia di raccontarti, di dire la tua sul malessere del Paese, anche da cittadino. Mi dicono che oggi il meglio lo do dietro la macchina da presa. Forse perché sono maturato. In Italia, eccetto che per un paio di registi come Paolo Sorrentino o Nanni Moretti, non ci sono abbastanza soldi per il cinema. L’ombra di Caravaggio è un film da 12 milioni di euro. Anche questo racconta una mia certa ambizione arrivata con l’età”, sorride. L’uomo dal fiore in bocca da Pirandello, nel corto di Marco Bellocchio, riporta invece al teatro. Al Comunale di Ferrara, anticipa, “stiamo lavorando alla messa in scena della Passione di Cristo di Mario Luzi, il 3 aprile, all’esterno del teatro. Siamo pronti per lo streaming, ma se avremo il permesso vorremmo portarlo in piazza con il pubblico. E finalmente il teatro tornerà a respirare”.

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