Renzi, ieri, nella Direzione Pd, rinuncia alla richiesta di elezioni anticipate per spostare l’accento sul congresso da tenersi in brevissimo tempo. Ovviamente, per la minoranza, questo è inaccettabile. Perché teme che le primarie finirebbero con l’incoronazione dell’ex premier, che nel partito resta il nome più forte. Per organizzare l’alternativa l’opposizione interna ha bisogno di più tempo. Bersani chiarisce la posizione: ‘Non si può fare una roba cotta e mangiata, evitiamo conte’. Dopo di lui Insiste Speranza: ‘Se l’obiettivo è un congresso lampo per andare a un voto lampo, non c’è più il Pd che diventa il partito dell’avventura’. Emiliano, governatore della Puglia, che si candida alla posizione di segretario, nel contempo osserva: ‘Non si può fare un congresso senza conoscere la legge elettorale. Il partito è in mani sbagliate, non si molla così Gentiloni’. Nell’ordine del giorno degli avversari di Renzi si chiariva che il partito avrebbe dovuto impegnarsi a sostenere il governo fino alla scadenza del mandato. Un modo per vincolare l’ex premier alle elezioni nel 2018. Di qui la decisione dei vertici Pd di non mettere in votazione il documento. La minoranza poneva quella data come ultimo gradino di una scaletta iniziata con una conferenza programmatica, come proposto dal ministro Orlando, che proseguiva con il congresso a ottobre. Su questo punto Renzi difficilmente tornerà indietro, perché vuole una vittoria subito, contando sulla maggioranza in assemblea nazionale, anche senza Franceschini o Orlando. In pratica, dopo aver evitato il rischio di elezioni anticipate la minoranza si trova di fronte a una scelta: accettare la sfida di un congresso perso sulla carta oppure dar vita alla scissione? La mossa di Renzi può causare il rischio di una rottura nel Pd. Lo sa bene D’Alema che ha ascoltato il dibattito: ‘Se esce l’ex segretario Bersani, non si può dire che se ne vanno quattro gatti, ma non c’è più il Pd’. Lo ammette pure Cuperlo: ‘Oggi il Pd è un progetto fortemente a rischio’. Potrebbe esserci una terza via con una composizione collegiale con un altro segretario. Questa operazione potrebbe rimettere la sinistra in gioco. In questo caso il nome più quotato sarebbe quello di Orlando che, dopo aver tentato la mediazione lanciando la conferenza programmatica, non ha partecipato al voto, benché alcuni dei suoi abbiano votato a favore di Renzi. Orlando, in modo ambiguo, ha bacchettato la minoranza per la campagna di delegittimazione del segretario, ma lo ha colpito in contemporanea: ‘Fare le primarie solo per legittimare il leader è come fare le tagliatelle con la macchina da scrivere. Si fanno perché manca una proposta politica forte. Il rischio che abbiamo di fronte è che il Pd diventi l’epicentro dell’instabilità del sistema politico’.
Cocis