La legge Severino, approvata nel 2012 dal governo tecnico di Monti per assicurare ‘liste pulite’ e istituzioni senza condannati, non regge alla sua seconda prova in Parlamento. Al suo esordio, il 27 novembre del 2013, funzionò, perché Silvio Berlusconi, condannato in via definitiva per frode fiscale nel processo Mediaset, decadde dal mandato di senatore. E a nulla valsero i 7 odg presentati da FI perché vennero tutti bocciati. Ieri, invece, nel caso dell’ex direttore del Tg1 Augusto Minzolini, condannato con sentenza passata in giudicato per peculato perché aveva speso con le carte di credito della Rai 65 mila euro in un anno e mezzo, l’Aula di Palazzo Madama lo ‘salva’ e con voto bipartisan: 19 senatori Dem e 23 di Ap votano con Forza Italia, Ala, Lega, Cor, Idea e Gal. E fanno passare un solo ordine del giorno, messo a punto da Giacomo Caliendo e Francesco Nitto Palma, che respinge la decisione della Giunta per le Immunità di considerarlo decaduto dal mandato di parlamentare.
Il salvataggio di Minzolini, che coglie di sorpresa i cronisti, viene accolto nell’emiciclo con grida da stadio. I colleghi di gruppo lo circondano, gli danno il cinque, lo ricoprono di buffetti sulla testa. Intenso l’abbraccio con il capogruppo Paolo Romani anche lui accarezzato e baciato dai senatori azzurri.
‘E’ stata tutta una manfrina’, – commenta un’irato Mario Michele Giarrusso, senatore M5S e componente della Giunta: ‘Si è trattato di fatto di un voto di scambio: ieri FI ha salvato Lotti non votando la mozione di sfiducia e abbassando il quorum e oggi il Pd salva Minzolini’.
I 5 stelle, sul piede di guerra, convocano subito una conferenza stampa al Senato per esprimere tutto il loro sdegno. ‘Hanno dimostrato di sentirsi al di sopra della legge’, tuona Di Maio che strappa platealmente il testo della legge Severino davanti alle telecamere. Poi non si lamentino, incalza al fianco di Di Battista, quando i cittadini manifestano in maniera violenta fuori al Parlamento se dentro si fanno atti eversivi di questo genere. Il richiamo è ai taxisti e ai balneari che avevano manifestato contro la Bolkestein, ma i Dem partono subito alla riscossa. Prima rivendicano la libertà di coscienza (concessa dal capogruppo Luigi Zanda che comunque vota contro l’odg) e poi attaccano Di Maio che così dicendo inciterebbe alla violenza.
Minzolini, che in Aula aveva dichiarato ‘di essere pronto a bere la cicuta’, annuncia comunque una sua lettera di dimissioni ben sapendo, chiosano i 5 stelle, che tanto non verranno mai accettate e che anche lui godrà la sua bella pensioncina.
Ma il salvataggio dell’ex direttore del Tg1 è anche l’occasione per l’ ennesimo scontro tra Dem e Mdp. Questi ultimi, con Doris Lo Moro che è stata anche relatrice del caso in Giunta, dichiarano di essere contenti di non stare più nel Pd, visto il voto di ieri e ammettono che la legge Severino è stata di fatto ‘stracciata’.
E a nulla, di fatto, sembra sia valsa la difesa che nel 2016 fece la Consulta della norma: ‘E’ legittima e non crea disparità tra amministratori e parlamentari’, quando contro questa presentarono ricorso due amministratori del calibro di De Luca e De Magistris, prima sospesi, ma poi comunque assolti.
Ma il no alla Severino, che nel 2012 venne approvata da un fronte di 480 sì, 19 no e 25 astenuti, viene considerato da alcuni senatori non solo come la conferma che il patto del Nazareno regge ancora, ma anche come il via libera alla Corte di Strasburgo a dare a ragione a Berlusconi che vuole tornare candidabile. Il Cav infatti dicono che sia entusiasta del salvataggio e in una telefonata a Minzolini gli avrebbe detto di essere contento.
‘Ieri hanno costituito un precedente pericolosissimo. Renzi ha perso definitivamente la faccia, non potrà più parlare di legalità e giustizia’, dice Luigi Di Maio (M5S), intervenendo ad Agorà, su RaiTre, sul salvataggio di Minzolini al Senato. ‘E’ un caso che l’altro ieri hanno salvato il renziano Lotti e ieri il berlusconiano Minzolini? Bisognerebbe andare alle urne e non votarli mai più, ieri si è fondato il partito degli amici degli amici’, ha concluso Di Maio.