Modernità antica

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, l’articolo ricevuto da James Hansen:

Malgrado tutti i nostri difetti siamo almeno “moderni”, con una particolare sensibilità che appartiene alla nostra epoca e che in qualche modo ci definisce – o no?

Il dipinto che appare qui sopra raffigura il retro di un quadro… Fu realizzato nel 1670 da un pittore fiammingo, Cornelis Norbertus Gysbrechts, nato ad Anversa all’incirca nel 1630 (o forse 1640). Il suo “quadro di un quadro” non doveva essere appeso, ma piuttosto appoggiato casualmente a un muro, di modo che un passante incuriosito potesse girarlo per vederne il soggetto – ritrovando ancora il retro che aveva già visto…

Della vita dell’artista si sa pochissimo, e solo attraverso le sue opere, di cui la prima conosciuta porta la data del 1657. Nel 1664 il pittore fu menzionato nel diario di Balthasar de Monconys di Ratisbona; Gysbrechts gli offrì in vendita due dipinti, di cui uno solo venne acquistato.

Dal 1665 al 1668 visse ad Amburgo e poi dal 1668 circa al 1672 a Copenaghen come pittore alla Corte danese: ancora oggi la maggior parte delle sue opere – una ventina – si trova in Danimarca. Nel 1675 pare sia tornato nelle Fiandre, come suggerirebbe la scritta su un quadro del periodo in cui si dichiara che “Monsieur Gijsbrechts (sic) è a Bruges”. Girava come una trottola, come i “nomadi digitali” dei nostri tempi.

Morì probabilmente nel 1675 o poco dopo. Una volta si riteneva che fosse morto dopo il 1684, a causa dell’inesatta lettura di una data – 1684 invece di 1664 – su un suo dipinto offerto all’asta nel 1965. Gysbrechts fu comunque uno specialista del trompe-l’œil e del genere una volta noto come “vanitas” – nature morte con elementi simbolici riferiti alla precarietà della vita: teschi, mozzi di candele estinti e quant’altro. Il nome deriva dalla frase biblica vanitas vanitatum et omnia vanitas – “vanità delle vanità, tutto è vanità”, un ammonimento riguardo alla transitorietà dell’esistenza umana…

La consapevolezza della mortalità era forse l’aspetto meno moderno dell’artista. Noi oggi ci consideriamo immortali – e siamo molti delusi quando scopriamo che non è così.

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