Il tormentone “Andiamo avanti da soli” dei Renziani non convince.
Lo spettacolo andato in onda, in queste ultime ore, alla Camera dei Deputati della Repubblica italiana si commenta da sé. Il tour de force impresso alla Camera, con il voto notturno, per l’approvazione delle riforme della Carta Costituzionale in uno all’incursione notturna del Premier che è apparsa come una minaccia al suo partito e non solo, rischia di avere un effetto devastante sul processo delle riforme. Il Parlamento non è soggetto al Governo perché è sovrano ed espressione diretta della volontà popolare, a differenza dell’esecutivo che è diretta espressione della volontà parlamentare che ne decreta la nascita attraversa la fiducia. A molti questa precisazione potrà sembrare superflua e scontata, ma non è così. Molti sembrano averlo dimenticato, il Premier in primis e gran parte dei media che pensano attraverso giornali e televisioni addomesticate, di condizionare il sistema politico ed istituzionale di questo Paese. Si sta assistendo ad un Parlamento che sembra si tenga in piedi esclusivamente grazie al suo istinto di sopravvivenza ed al suo nume tutelare il “prode” Renzi, che sembra aver smarrito la dritta via che gli aveva consentito di avvicinarsi a grandi falcate al traguardo delle riforme. La rottura del ‘ Patto del Nazareno’, da molti minimizzato, non implica solo un cambiamento numerico, ma ha avuto ed avrà ancora una grande valenza politica. Infatti se l’obiettivo di cambiare la Costituzione non è più comune a gran parte delle forze politiche presenti in parlamento , ma diventa il progetto del solo partito dominante, la conseguenza inevitabile sarà l’inasprimento della lotta delle opposizioni che nonostante un’eterogenea appartenenza ideologica si troveranno a far fronte comune contro il Governo e la sua maggioranza ( nel caso de quo molto risicata, tenendo conto dei numeri al Senato) che lo sostiene in Parlamento. Per questo, il ” grido di battaglia” dei renziani, “Andiamo avanti da soli” non convince nessuno. La politica delle scatole cinesi non regge; il Pd, dopo aver rotto l’intesa con Berlusconi, ha litigato con il M5S e con Sel ed al suo interno si è rotta subito quella tregua apparente, sancita dalle elezioni del Capo dello Stato, dando spazio alle divisioni. Per non parlare poi di come l’opinione pubblica percepisca tutta questa bagarre, non può che convincersi che la riforma della Carta Costituzionale non è comune a tutte le forze politiche ma espressione di una parte, maggioritaria in Parlamento ma minoritaria nel Paese, tenuto conto del grande astensionismo che si registrò alle politiche del 2013. Riforme portate avanti così, rischiano di diventare deboli, ancor prima di essere licenziate dal Parlamento. La capacità di un Premier di portare avanti le riforme, non si misura con il numero di sedute notturne o con le minacce rivolte ai Parlamentari di far sciogliere le Camere, ma con l’abilità politica e diplomatica, con il saper costruire un nuovo asse politico per portarle avanti , con il saper accettare le conseguenze che ne deriveranno. Nel caso Di Renzi, perseguire il contrario di quanto detto, significherebbe legare la sua figura al fallimento di un progetto politico, su cui ha preteso ed ottenuto la guida del Paese.