C’è alta tensione all’interno del Movimento 5 Stelle, ‘certificata’ dalle dimissioni di Massimo Bugani, che ha lasciato l’incarico di vice-caposegreteria di Luigi Di Maio e il ruolo di referente M5S in Emilia Romagna e dei sindaci.
Il ‘Corriere della Sera’ descrive il Movimento come lacerato e teso tra due spinte contrapposte e parla dell’ipotesi scissione: da un lato c’è l’ala governista che desidera andare avanti con l’esperienza di governo, dall’altro un gruppo movimentista di big e attivisti che auspica un cambio ai vertici e vuole tornare al voto e, molto probabilmente, all’opposizione (questo secondo gruppo vede in Alessandro Di Battista l’unica alternativa a Luigi Di Maio). In entrambi i gruppi, ci sarebbe l’intenzione di rifondare i 5 Stelle.
In questa partita, per ora, Roberto Fico rimane in standby e Massimo Bugani ha incontrato Davide Casaleggio. La prossima tappa importanti per capire il destino del Movimento 5 Stelle è oggi, mercoledì 7 agosto, quando ci sarà il voto sulla Tav. Le frizioni, però, potrebbero protrarsi fino a fine anno, cioè fino alle Elezioni Regionali in Calabria: sarà il primo test elettorale importante con la nuova organizzazione del Movimento 5 Stelle e con eventuali liste civiche alleate e, se l’esperimento dovesse funzionare, l’ala governista potrebbe spingere per provare ad avere una lista proveniente dalla società civile come ‘alleata’ M5S alle prossime Elezioni Politiche.
Politicamente invisibile, il vicepremier e ministro del Lavoro, leader dimidiato del Movimento Cinquestelle, appare del resto sempre più ormai come una figura in dissolvenza sulla scena pubblica italiana, ormai capace di giocare solo di rimessa. Di Maio durante l’incontro con le parti sociali s’è lanciato in una proposta, non originale, sulla riduzione del cuneo fiscale definita ‘punto focale per poter rilanciare l’economia’. Peccato che sia poco meno di una provocazione, una puntura di spillo a Salvini che nella prossima legge finanziaria punta invece alla Flat tax, proposta a cui Di Maio non potrà dire di no. Salvo magari incoraggiare il ministro dell’Economia Tria a tenere sotto pressione Salvini sulle coperture necessarie. Una proposta quella di Di Maio sulla riduzione del cuneo fiscale che resterà dunque e naturalmente un’esercitazione retorica, un modo tra gli altri, occasionali e improvvisati, per marcare la propria rilevanza, mentre tutto intorno testimonia al contrario d’una continua emorragia di presenza e di credibilità.
Matteo Salvini durante l’incontro con le parti sociali al Viminale avrebbe auspicato a una manovra vera, con soldi veri per investimenti, opere pubbliche e infrastrutture. Archiviati gli attacchi a Danilo Toninelli, il ministro avrebbe affermato: ‘Sono pronto ad andare a contrattare la flessibilità necessaria con l’Europa per spendere su questi obiettivi’, avrebbe aggiunto, secondo quanto riporta l’Ansa.
Il vicepremier leghista avrebbe parlato di un quadro economico con ‘dati congiunturali caratterizzati da luci e ombre’, un massimo storico per l’occupazione, ma con lavoro di qualità debole e crescita dello 0,1% del Pil. Per il ministro dell’Interno la situazione del Paese presuppone una manovra che vada oltre la spesa corrente, non può limitarsi al ‘gioco delle tre carte’ con gli sgravi recuperati da altre misure.
‘Per il piano straordinario di investimenti occorre discutere con l‘Unione Europea alcuni vincoli europei in base ai quali nulla di quello di cui stiamo parlando da tre ore sarebbe possibile’, ha riferito ai giornalisti dell’Ansa durante una pausa del vertice. ‘La situazione dei consumi è ferma, bisogna prenderne atto. È vero che aumenta il numero dei lavoratori e diminuisce il numero dei disoccupati, però bisogna anche considerare la qualità del lavoro. Nella grande distribuzione e nei negozi il potere reale d’acquisto delle famiglie è fermo’.
Il vicepremier avrebbe promesso alle parti sociali ‘un coraggioso e sostanzioso abbassamento delle tasse’ nella prossima manovra economica. Alla stampa Matteo Salvini ha riferito che durante la riunione ‘Tutti hanno sottolineato l’importanza di investire in infrastrutture e opere pubbliche, e si sta lavorando all’eliminazione della Tasi e alla riorganizzazione della tassazione sulla casa’. Il ministro tornerà in settimana al tour nelle spiagge per la campagna elettorale delle Regionali.
Tornando a Bugani sia chiaro che non lascia il ruolo di vicecapo della segreteria particolare di Di Maio a Palazzo Chigi per dissensi personali. C’è qualcosa di più dell’intervista al Fatto Quotidiano dove Bugani chiedeva una maggiore inclusione di Di Battista al vertice del Movimento. Le sue dimissioni sono piuttosto un atto di sfiducia politica che l’altro Movimento (quello che fa capo a Casaleggio e che in Fico e Di Battista ha in questa fase i suoi terminali politici) ha voluto notificare a Di Maio.
L’accusa che l’altro Movimento rivolge al ministro del Lavoro è qualcosa di più dell’incapacità palmare di contrastare l’onda dell’iniziativa politica salviniana, è un’accusa – nemmeno tanto implicita – di ‘intelligenza con il nemico’. Di Maio verrebbe percepito da settori sempre più larghi del Movimento Cinquestelle come la polizza sulla vita di un esecutivo a guida oggettivamente leghista che tuttavia nel suo durare garantisce all’attuale leader grillino e ai suoi deputati una sopravvivenza politica tutta centrata sul garantire loro la possibilità di restare seduti sulle comode poltrone di Montecitorio e di Palazzo Madama, così da goderne il più a lungo possibile gli indiscutibili e irreplicabili benefit.
Di Maio rovescia l’accusa che gli viene mossa, quella di voler durare a tutti i costi, e su Facebook scrive: ‘Chi tifa per la caduta del governo è perché ha paura di non essere rieletto. Ha paura di trovarsi un lavoro come tutte le persone normali. Noi questa paura non ce l’abbiamo. A noi della poltrona non ce ne frega nulla. Il Movimento 5 stelle lavora per fare cose giuste, non per il consenso’. Un messaggio che sembra più rivolto all’interno dell’area pentastellata che al mondo di fuori.