Rolihlahla sembra difficile da pronunciare ma la sua storia ha talmente tanto da raccontare che, seppure quella maestra non gli avesse cambiato nome, il mondo avrebbe preso dimestichezza anche con l’antico linguaggio tribale pur di celebrarlo.
Il meglio noto Nelson Mandela si è spento alle 20:50 di ieri dopo una vita di vittorie, sofferenza e amore che ha coinvolto tutti, poveri e ricchi del pianeta, come il suo popolo sudafricano che dalla scorsa notte lo saluta tra canti e balli, senza lacrime, come la loro tradizione vuole, ed i potenti dei cinque continenti impegnati nella commemorazione di un uomo, anzi, un eroe che ha fatto della libertà l’inno della sua esistenza.
Libertà che da sempre aveva sentito dentro come un fuoco, come quando ventiduenne lasciò il suo villaggio per venir meno a nozze combinate, desideroso di conoscere il mondo oltre i bantustan, territori riservati agli individui di razza nera in base alle leggi di segregazione promulgate dall’apartheid.
Libertà che gli costò la prigionia, prima per cinque e poi per 26 anni, accusato di tradimento e sabotaggio nei confronti del governo del Paese, ma che costituì proprio la sua forza, consentendogli di rinnovare al mondo intero quell’alto ideale di cui s’era fatto promotore dicendo no alla scarcerazione su rinuncia alla lotta armata che aveva intrapreso a seguito delle efferatezze perpetrate dal regime sulla sua gente.
– “Un vincitore è solo un sognatore che non si è arreso” – e lui non lo fece: nel 1990 la scarcereazione, l’abolizione dell’apartheid, nel 1993 il premio Nobel per la pace e nel 1994 l’elezione a Presidente del Sud Africa.
Libertà che Mandela ribadì anche come diritto all’educazione, alla salute ed alla prevenzione, impegnandosi attivamente nella lotta all’AIDS, approvando una legge che introduceva nel Paese farmaci paralleli e quindi economicamente più accessibili per i ben 4 milioni di siero positivi in Sud Africa. Trentanove industrie farmaceutiche gli fecero causa, tutte mollarono dopo l’incredibile protesta sorta a sostegno del leader.
“I’ll call you” – vi richiamo io – aveva detto ritirandosi dalla vita pubblica.
Ricordare oggi il suo coraggio è un richiamo che non possiamo ignorare!