Sicuramente se vi capiterà di leggere su una guida o su un giornale le parole San Gregorio Armeno’penserete immediatamente alla strada resa celebre dai mille presepi che i bottegai mettono in mostra tutto l’anno. E inevitabilmente San Gregorio Armeno vi farà pensare al Natale e alla folla che si accalca nella speranza di vedere la figura di un nuovo pastore. Eppure lungo questa via esiste anche un piccolo gioiello barocco non molto conosciuto: la chiesa di San Gregorio Armeno, nota anche come chiesa di San Biagio Maggiore o di Santa Patrizia.
Il complesso è situato sopra le rovine di un santuario dedicato alla dea Cerere, antica divinità della vegetazione e del raccolto, le cui sacerdotesse erano tra le più ambite dell’epoca romana. Contiguo vi era anche un tempio dedicato a Proserpina, figlia della dea e sposa di Ade, padrone degli Inferi. La chiesa fu fondata nell’VIII secolo dalle monache di San Basilio fuggite dall’Oriente, a causa delle persecuzioni di Leone III Isaurico che si accanì contro gli iconoclastici, con le spoglie di San Gregorio Illuminatore, patriarca di Armenia dal 260 al 328, a cui fu dedicato il complesso. Le reliquie del Santo sono ancora oggi conservate all’interno della chiesa napoletana, oltre che in altre strutture religiose situate a Nardò e a Costantinopoli. Ma questo ancora non spiega il perché la chiesa sia dedicata anche a un’altra Santa. All’interno dell’edificio fu portato nell’Ottocento anche il corpo di Santa Patrizia, ritenuta una discendente dell’imperatore Costantino. Con il passare del tempo a Napoli il culto della Santa divenne quasi più forte di quello del Santo. Dai primi anni del Novecento invece la chiesa e l’attiguo convento con chiostro sono stati affidati alle cure delle Suore Crocifisse Adoratrici dell’Eucaristia.
La struttura che possiamo ammirare oggi non è esattamente quella originale. La chiesa, infatti, ha subito grandi rifacimenti nel 1572, ad opera di Giovanni Vincenzo Della Monica e Giovan Battista Cavagna, e ulteriori lavori nel secolo successivo realizzati dall’architetto napoletano Dionisio Lazzari. L’interno della chiesa si presenta come un’esplosione dell’arte barocca. Entrando potrete ammirare il soffitto ligneo a cassettoni intagliato da Giovanni Andrea Magliulo, che lavorò anche nella chiesa di Santa Maria Donnaromita, e decorato dal fiammingo Teodoro D’Errico. Guardando in alto potrete anche notare finestre chiuse con reti metalliche da cui le monache di clausura assistevano alla messa. Altro esempio che mostra la vita condotta dalle religiose è dato dal cosiddetto “comunichino”, usato dalle suore per ricevere la comunione. Si può notare anche la Scala Santa che le monache erano solite salire in ginocchio tutti i venerdì di Quaresima fino a Pasqua. Ciò che colpisce l’occhio immediatamente è l’immensa opera di Luca Giordano “La gloria di San Gregorio”, che decora la semi cupola. La chiesa, a navata unica, è composta da diverse cappellette laterali, una delle quali accoglie le spoglie di Santa Patrizia. Tramite una scala interna si accede poi al convento e al chiostro. Al centro di quest’ultimo, circondato dagli alloggi dove vivono ancora oggi le suore, è situata una grande fontana marmorea in stile barocco, affiancata da due statue settecentesche, realizzate dallo scultore salentino Matteo Bottiglieri, raffiguranti Cristo e la Samaritana.
Questo articolo fa parte della rubrica sulle Chiese di Napoli. Napoli la città delle 500 cupole.
Fonti: Agnese Palumbo, Maurizio Ponticello, “Il giro di Napoli in 501 luoghi”, Roma, Newton Compton, 2014; “Napoli e il golfo”, Milano, Touring, 2011.