Una vita con la scorta. Questo il prezzo da pagare per chi ha trovato il coraggio di denunciare qualcosa che a Napoli, come in diverse realtà italiane, sembrava destinato a morire, ucciso dal muro dell’omertà. E’ stato ascoltato oggi come testimone per le minacce subite durante l’appello del processo Spartacus, scrittore Roberto Saviano, destinatario di diverse intimidazioni dai boss del clan dei casalesi Francesco Bidognetti e Antonio Iovine tramite i loro legali. Sorte analoga per la giornalista e senatrice del Pd Rosaria Capacchione, a sua volta presa di mira dai due boss. Sia Saviano sia Capacchione sono parti civili nel processo, in cui oltre ai due boss, sono imputati gli avvocati Michele Santonastaso e Carmine D’Aniello, loro ex difensori. È competente invece il Tribunale di Roma per le minacce rivolte, nel corso della stessa udienza di “Spartacus”, ai magistrati Federico Cafiero de Raho, oggi procuratore di Reggio Calabria, e Raffaele Cantone, attualmente in servizio alla Cassazione.
“Immagino che la mia vita possa essere libera solo all’estero, in Paesi che possano darmi un’altra identità, così che possa permettermi una vita nuova che comincia da zero”, ha dichiarato lo scrittore nel corso della sua testimonianza. “Ho la sensazione di essere un reduce dopo una battaglia. Vivevo a Napoli e immaginavo la possibilità di una carriera universitaria. I rapporti con i miei familiari sono diventati complicati. Il progressivo aumento della scorta rende difficilissima la vita quotidiana. Non esistono passeggiate, nessuna forma di vita normale, non posso prendere il treno né la metropolitana o scegliere un ristorante senza concordarlo con la scorta”, ha detto ancora Saviano, che ha poi ripercorso gli avvenimenti di cui è stato protagonista a partire dal settembre 2006, quando fu invitato a Casal di Principe per intervenire a parlare di camorra agli studenti in occasione dell’apertura dell’anno scolastico: “A Casal di Principe in piazza di questi temi non si era mai parlato. In paese si percepiva un clima di tensione”. Saviano ha ricordato che dal palco rivolse l’appello a cacciare i boss Zagaria, Schiavone e Iovine, colpevoli di saccheggiare il territorio. “Mi accorsi della presenza di Carmine Schiavone, figlio di ‘Sandokan’: la piazza smise di guardare me è cominciò a guardare lui. Di lì a poco sarei dovuto andare a prendere il treno per Napoli ma la scorta dell’allora presidente della Camera Fausto Bertinotti decise di accompagnarmi: ‘Questo ragazzo non va via da solo”.
Tra le minacce ricevute in quei tempi, Saviano ha ricordato un volantino lasciato nella cassetta delle lettere della madre in cui accanto alla sua foto compariva una pistola con la scritta “Condannato”. L’anno successivo lo scrittore tornò a Casal di Principe sempre in occasione dell’inizio dell’anno scolastico: “I negozi abbassavano le saracinesche, le finestre delle case erano chiuse: una parte della città mi percepiva ostile. Nicola Schiavone, il padre di ‘Sandokan’, ripreso anche dalle televisioni, mi disse ‘Buffone, a Casale ci sono gli uomini, non gente come te. Fai bene il tuo lavoro, non il pagliaccio’.
In seguito, rievocando sempre gli episodi che avrebbero determinato la sua situazione di rischio, Saviano ha citato alcuni articoli da lui scritti sul processo di appello Spartacus nei quali denunciava “la marginalità del più grande processo di mafia al mondo nel dibattito nazionale”. Lo scrittore si è poi soffermato sulla questione al centro del processo in cui è parte offesa, ovvero le presunte minacce contenute nell’istanza di remissione di Spartacus letta in aula dall’avvocato Michele Santonastaso per conto dei boss Antonio Iovine e Francesco Bidognetti: Saviano veniva indicato come scrittore al servizio della procura. “Capii che era avvenuto qualcosa di epocale: nella storia della camorra non era mai stato letto come un proclama un documento firmato da boss”. Qualcosa del genere, ha sottolineato Saviano, era accaduto solo durante i processi alle Brigate rosse.