Napolitano a D’Ambrosio: “Colpiscono lei per colpire me”

“Non ho mai esercitato pressioni o ingerenze che, anche minimamente potessero tendere a favorire il Senatore Mancino o qualsiasi altro rappresentante dello stato comunque implicato nei processi di Palermo, Caltanissetta e Firenze”. E’ questo uno dei passaggi fondamentali di una lettera, datata 18 giugno 2012, che il consigliere Loris D’Ambrosio invia al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La missiva è stata scritta subito  dopo il coinvolgimento del Capo dello Stato nelle indagini della Procura di Palermo sulla trattativa Stato-Mafia e aiuta a far luce su questa pagina oscura della storia recente della Repubblica italiana. Non a caso questa lettera inedita la si trova pubblicata, per la prima volta, in un volume, distribuito oggi in occasione dell’inaugurazione della scuola magistrati a Scandicci che raccogli gli scritti e gli interventi di Giorgio Napolitano sulla giustizia. Ma è soprattutto la risposta, anch’essa fino ad ora mai resa nota, del capo dello Stato al suo consigliere giuridico che alimenterà ulteriori polemiche tra Quirinale e Procura di Palermo.

“Caro dottor d’Ambrosio, l’affetto e la stima che le ho dimostrato in questi anni, sempre accresciutisi sulla base dell’esperienza del rapporto con lei, restano intangibili, neppure sfiorati dai tentativi di colpire lei per colpire me. Ce ne saranno ancora, è probabile: li fronteggeremo insieme come abbiamo fatto negli ultimi giorni. E la sua vicinanza e collaborazione resterà per me preziosa fino alla conclusione del mio mandato. Preziosa per sapienza, lealtà  e generosità”. “Ciò non significa che io non comprenda il suo stato d’animo e la sua indignazione (dire amarezza è poco). Le sue condotte, così come le ha ricostruite nella sua lettera -scriveva tra l’altro il Presidente della Repubblica- sono state, e non solo in questi 6 anni, ineccepibili; e assolutamente obiettiva e puntuale è la sua denuncia dei comportamenti perversi e calunniosi -funzionali a un esercizio distorto del proprio ruolo- di quanti, magistrati, giornalisti e politici, non esitano a prendere per bersaglio anche lei e me”. “Non posso, però, che invitarla -scriveva ancora il Presidente della Repubblica a D’Ambrosio- a uno sforzo di rasserenamento e di ferma, distaccata predisposizione a reagire agli sviluppi della situazione. Traendo conforto anche dall’apprezzamento e dal rispetto che nutrono per lei tutti i galantuomini che operano nel mondo della giustizia o hanno comunque avuto modo di conoscerla e seguirla”. “Lo sforzo a cui la invito -concludeva Giorgio Napolitano- non è facile; e lo so perché non solo a esemplari servitori dello Stato, ma anche a politici impegnati in attività di partito e nelle istituzioni, possono toccare amarezze e trattamenti tali da ferire nel profondo. Lo potrà rilevare leggendo qua e là la mia autobiografia politica, che le invio -pur avendone lei forse già copia- come segno di amicizia e fiducia”. Sono queste le parole che Giorgio Napolitano scrive il 19 giugno scorso, a sole 24 ore di distanza dallo ‘sfogo’ del suo collaboratore.  Il 26 luglio scorso il consigliere giuridico del Capo dello Stato perse la volta per un improvviso arresto cardiaco. Fu lo stesso Giorgio Napolitano a darne l’annuncio. 

 

 

 

 

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