La Guardia di Finanza di Roma ha eseguito il decreto con il quale la Corte di Appello capitolina ha confermato la confisca disposta dal Tribunale di Latina di beni immobili, autoveicoli e quote societarie, per un valore complessivo di circa 2,8 milioni di euro, riconducibili a Carmelo Giovanni Tripodo, deceduto nel 2019 all’età di 62 anni.Di origini calabresi, Tripodo ha dimorato per oltre 30 anni nella zona del basso Lazio dove è stato capo e promotore di un’associazione di stampo mafioso che ha gestito e controllato illecitamente attività economiche e commerciali, condizionando il rilascio di concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici, come accertato all’esito di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia capitolina nell’ambito delle operazioni di polizia “Damasco” e “Damasco 2”, concluse con il suo arresto nel 2009.Per tali fatti, nel giugno 2013 il boss è stato condannato per associazione mafiosa, oltre che per reati in materia di traffico di stupefacenti e intestazione fittizia di beni, nonché per alcuni fatti di abuso d’ufficio in concorso con un amministratore pubblico del Comune di Fondi.
I successivi approfondimenti patrimoniali svolti dai Finanzieri del Gico del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria hanno consentito di documentare la palese sperequazione tra gli esigui redditi dichiarati da Tripodo e dai membri del suo nucleo familiare e il patrimonio, costituito da società e immobili – in parte intestati a compiacenti “prestanome” – frutto del reimpiego dei profitti derivanti dalle attività illecite.Il provvedimento di confisca della Corte di Appello di Roma, che, a seguito del decesso del proposto, è stato emesso nei confronti dei suoi eredi, ha ad oggetto 3 società e il relativo compendio aziendale, operanti nei settori delle pulizie e del trasporto merci per conto terzi; un vasto patrimonio immobiliare composto da 15 unità abitative e commerciali, nonché 9 terreni siti a Fondi (Latina); 13 automezzi.L’attività testimonia il costante impegno della Procura della Repubblica Dda, della Corte di Appello e della Guardia di Finanza di Roma nell’aggressione ai patrimoni accumulati dalla criminalità organizzata per sottrarre definitivamente i beni al circuito economico illecito di origine e restituirli alla collettività.