Allarmanti i dati diffusi dall’Istat sulle cifre degli inoccupati. Nel 2011, infatti, gli inattivi che non cercano un impiego, ma sono disponibili a lavorare, raggiungono il livello più elevato dal 2004: sono 2 milioni 897 mila, in aumento del 4,8% (+133 mila unità) rispetto al 2010. La quota di questi inattivi rispetto alle forze di lavoro cresce tra il 2010 e il 2011, passando dall’11,1% all’11,6%, dato questo superiore di oltre tre volte a quello medio europeo (3,6%). In questo contesto, il divario di genere continua a rimanere elevato. Nella media dello scorso anno, le donne che appartengono a questo gruppo di inattivi corrispondono al 16,8% delle forze di lavoro femminili, a fronte del 7,9 % degli uomini.
Il gruppo – rende noto l’Istat – è fortemente caratterizzato dal fenomeno dello scoraggiamento: il 43% (circa 1,2 milioni di unità) dichiara di non aver cercato un impiego perché convinto di non riuscire a trovarlo. In Italia, gli inattivi che non cercano un impiego rappresentano un aggregato più ampio di quello dei disoccupati in senso stretto (2 milioni 108 mila nel 2011); nella media europea, invece, i disoccupati risultano pari a più del doppio di questi inattivi. Nel 2011, gli inattivi che cercano un impiego ma non sono disponibili a lavorare sono 121 mila unità (-4,4%, pari a 6 mila unità in meno in un anno). Si tratta dello 0,5% delle forze di lavoro (l’1% nell’Unione Europea).
Sommando le forze di lavoro potenziali ai disoccupati si ottengono le persone potenzialmente impiegabili nel processo produttivo: nel 2011 si tratta di circa 5 milioni di unità. Sempre nel 2011, i sottoccupati part time sono 451 mila unità (+3,9%, pari a 17 mila unità in più rispetto al 2010) e rappresentano l’1,8% del totale delle forze di lavoro. Nell’Unione Europea l’incidenza è pari al 3,6%.