di Giovanni Tesio
Lindau
Dalle pagine ispirate del pregevolissimo volumetto di Giovanni Tesio, effonde un amore smisurato per i libri e il sapere; il professore e letterato si profonde in quello che si propone di essere «un atto di riflessione sulla varietà degli esiti a cui il legame con il libro può condurre: riflessione sulla sua esistenza versatile e plurima, sulla sua presenza o assenza, sulla sua efficacia o sulla sua sterilità, sulla sua fruizione, sui suoi cambiamenti, sulla sua precarietà e sulla sua necessità.»
Un florilegio di passeggiate narrative nel bosco dei libri, per l’appunto, cercando tuttavia di «evitare la retorica corrente sui libri e sulla lettura».
Nel testo albergano infiniti spunti nei quali ogni bibliofilo potrà riconoscersi: «Appartengo alla specie degli assetati, alla specie di quelli che vorrebbero assorbire il sapere in un’estesa geografia di nozioni, preoccupandomi abbastanza poco del fatto che si leghino tra di loro per non finire in una conoscenza tanto ampia quanto disseminata, frammentaria, caotica.»
Tesio, come tutti coloro che condividono la condizione di accumulare libri senza trovare il tempo di leggerli, celebra la compagnia fedele di quel deposito di desideri, cui rivolgersi sempre «attingendo allo scaffale dei libri che sono rimasti lì per anni in attesa di tempi migliori, e che ora giungono a reclamare con la loro presenza muta l’attenzione che meritano.» Insomma, «la biblioteca come luogo di elezione in cui abbandonarsi a sognare la vita.»
In una società frenetica come la nostra, sono davvero preziosi i consigli sulla lettura: «La lettura non va di fretta, ma adagio, non è vorace ma papillare, e va dunque delibata, gustata con la debita lentezza. Leggere correndo è schiavitù del tempo, un tempo tutto calcolato, monetizzato, mercificato. […] La lettura chiede lentezza, il miglior antidoto all’affanno dei giorni».
Qualunque amante dei libri non può che riconoscersi in queste righe: «Alloggi sempre piccoli, che mi hanno costretto a disseminare libri dappertutto, occupando garage, riempiendo cantine, stipando ripostigli. Ho imbarcato nel tempo certi miei uzzoli improvvisi, certe mie predilezioni estemporanee poi abbandonate, e anche certe ambizioni decisamente sbagliate, dovute all’innamoramento per un sapere con cui mi sarei voluto accordare, ma con cui non sono riuscito a trovare l’accordo. Così, accanto a ciò che so (o mi pare di sapere) c’è molto di ciò che assolutamente non so, o di cui, ancora oggi, so ben poco. […] le biblioteche personali nascono per stratificazione di tempi e di gusti, sono il frutto di scelte che ben rivelano un percorso di ambizioni intellettuali ed emotive, su cui – nel mettervi mano – ritroviamo qualcosa che nel frattempo abbiamo dimenticato e che torna a galla. Qualcosa per cui ci accade di dire: «Ma che cosa pensavo, che cosa volevo, che cosa leggevo?». Piccole porzioni di un sapere che veniva dalla necessità o semplicemente dalla volontà di approfondire argomenti legati a un tempo, tramontati come tutto tramonta, vere e proprie giacenze di climi attraversati dal desiderio di condividere, di appartenere; frammenti di vita di cui s’è persa la memoria, e che torniamo a rievocare proprio grazie al disseppellimento di quei libri che ci inducono a ricordare.»
Con l’intima angoscia sul futuro ultimo del proprio patrimonio librario: «Che fine farà? Chi mai lo vorrà? Come si disperderà? Su quali incontri inimmaginabili potrà mai contare? Chi metterà gli occhi sulle mie sottolineature, sulle mie considerazioni a margine, sui miei accoppiamenti più o meno giudiziosi?»