L’Italia in Europa “è percepita come governo più stabile perché ha il governo più stabile. Il metro più facile per giudicare la compattezza di una maggioranza è la velocità con cui riesce a lavorare”. Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla registrazione di ‘5 minuti’ in onda su Rai1: “Noi vogliamo fare governare chi e’ stato scelto dagli italiani, diciamo basta a inciuci, governi tecnici, e chi e’ anti democratico saremmo noi – ha aggiunto la premier -. Vogliamo rimettere la democrazia nelle mani dei cittadini. I racconti della sinistra sono curiosi”. “Quando la riforma del premierato arriverà al referendum, e arriverà al referendum perché la stanno osteggiando perché la temono, avremo un’occasione storica. “Diranno – ha aggiunto – che è un referendum sul governo, ma non è sul governo è su quello che succede dopo. Non la sto facendo per noi, perché il governo durerà cinque anni, ma perché se non la facciamo noi oggi non la farà nessuno”. Si è detta anche “favorevole al vincolo dei due mandati” per il premier. Credo che la cosa più sensata sia trovare una regola che vale per tutti”, cioè per sindaci e governatori.
Nel Pd, invece, accusano di tradimento la segretaria Elly Schlein sul terzo mandato, si ribellano all’appiattimento verso i 5Stelle e sono pronti ad azioni eclatanti. Nel Nazareno la resa dei conti parte da lontano. La rabbia che serpeggia nel correntone interno guidato dal governatore Bonaccini non riguarda solo il casus belli del terzo mandato che spacca a metà il partito, solo l’ultimo in ordine cronologico, ma l’asse sempre più indigeribile con Giuseppe Conte.
Tra i riformisti ribelli alla linea-non linea della Schlein si mescolano tanti sentimenti, a partire dall’insoddisfazione per lo zigzagare della segretaria su tutti i dossier dell’agenda politica dietro lo scudo dell’opposizione senza se e senza ma, troppo urlata e mai efficace. Anche sul voto in commissione Affari costituzionale dell’emendamento leghista per il tris ai governatori la rotta seguita dalla segretaria non è andata oltre il temporeggiamento aspettando le mosse dell’avversario per poi gridare alla spaccatura del centrodestra.
Sulle spalle della segretaria pesa anche il macigno del governatore campano Vincenzo De Luca. Che è reduce dal fuor d’opera, difficilmente digeribile, della protesta romana in stile Masaniello che si è conclusa con insulti irripetibili alla premier Meloni. Episodio che mette a rischio anche l’atteso faccia a faccia televisivo tra le due leader.
L’accusa di tradimento dell’intesa – l’ennesimo compromesso – faticosamente raggiunta nella direzione nazionale è pesante. C’è chi legge il voto contrario alla proposta leghista come un “tranello studiato” dalla leader. Dicono gli oppositori in fermento, il niet al terzo mandato è un atto di sudditanza ai 5stelle, che ne hanno fatto un cavallo di battaglia. Una sua bandiera oltre che un valore statutario, tanto da estendere il limite dei due mandati anche ai parlamentari. La prova provata di un partito schiacciato su Conte.
La Schlein si trincera dietro l’unanimità della scelta dei senatori, tutti inquadrati per votare no all’emendamento della Lega, facendo carta straccia della proposta Bonaccini in Direzione: quella di votare con la Lega nella speranza di mettere in minoranza l’opposizione. Niente da fare, neppure l’ipotesi di uscire dall’aula, avanzata da Malpezzi, Alfieri e Delrio è stata presa in considerazione da Elly per non innervosire Conte.
Nell’area Bonaccini avanza la richiesta di un “chiarimento” prima del voto in Aula della settimana, visto che la Lega è decisa a ripresentare l’emendamento in Senato. In assenza di un chiarimento c’è la minaccia della minoranza interna di uscire dalla segreteria unitaria. Un’exit strategy drammatica e un danno di immagine grave a pochi mesi dalle europee.