Nella guerra Russia-Ucraina nessuno vuole la pace. Guardiamo il tutto dietro le quinte

L’attacco a sorpresa compiuto dall’Ucraina nell’oblast russo di Kursk ha sparigliato le carte sul tavolo. Ha umiliato e smosso i russi, ha spinto mezzo mondo a chiedersi perché e per come, ha riattivato la discussione in Occidente sull’utilizzo delle armi a lungo raggio. Ma, di fatto, non ha mutato il corso di un conflitto che vede Mosca nettamente superiore per mezzi e uomini e Washington ancora col freno a mano tirato.

Fattori tattici e questioni strategiche lasciano pensare che la guerra proseguirà anche dopo il 2024, nonostante lo stesso Cremlino avesse annunciato piani per portarla a termine entro fine anno. Nella consapevolezza, banalità necessaria, che disinformazione, grandi offensive e interventi esterni potrebbero cambiare tutto in un istante.

Neanche il tempo di cominciare e già esplode la linea del governo sulla politica estera, che sulla carta – secondo la dichiarazione congiunta – avrebbe compattato Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani. E invece, Fratelli d’Italia e Lega mettono nero su bianco lo scontro, non si sa quanto consapevolmente. Basta leggere la nota ufficiale trasmessa da Palazzo Chigi e da FdI, nella quale il partito di Salvini assicura in un passaggio che c’è stata “condivisione sulla crisi in Medio Oriente e sulla posizione del governo italiano relativamente alla guerra in Ucraina”. E poi confrontarla invece con quella diffusa dalla Lega, poi rimossa dopo alcuni minuti, in cui c’è invece scritto: “Condivisione sulla crisi in Medio Oriente e sulla posizione del governo italiano relativamente alla guerra in Ucraina, con appoggio a Kiev ma contrari o ogni ipotesi di interventi militari fuori dai confini ucraini”.

L’incursione di Kursk è meno decisiva di quanto sembri ed ha lasciato sul campo più domande che certezze. Cosa rappresenta? Un’inutile esibizione di intelligence? Un errore strategico da parte di Kiev? Sicuramente è stata celebrata come un grande successo nel breve termine, ma è il medio-lungo termine che conta. E sicuramente, fino al giorno precedente l’operazione che ha sorpreso le forze russe nel loro territorio (5 agosto), l’Ucraina sembrava destinata a perdere sul campo nel giro di pochi mesi. Povera di uomini e munizioni, appena tenuta in bolla dagli intermittenti aiuti occidentali, con gli Usa indecisi sul da farsi e gli Stati Ue divisi sul sostegno militare a Kiev.

Poi è arrivato l’attacco, che ha sfruttato le debolezze materiali russe nella zona invasa grazie anche all’indispensabile supporto di intelligence occidentale. Sorpresa per Mosca, ma non per Washington, che doveva conoscere i programmi di Kiev dopo aver per forza di cose coordinato lo “scudo cyber” che ha nascosto al Cremlino l’ammassamento di truppe alla frontiera. Di fatto, però, in questo modo l’Ucraina si trova attualmente con quattro o sei battaglioni bloccati nell’oblast nemico, rendendo simmetrica l’occupazione del Donbass solo in apparenza. La porzione di territorio controllato dai russi, che intanto continuano ad avanzare, è nettamente superiore a quella in mano ucraina. Grave problema, visto che le unità migliori dell’esercito servirebbero nel Donetsk, dove cioè si deciderà questa importantissima fase della guerra.

L’obiettivo di Kiev è molteplice: politicamente, da un lato dimostrare al mondo che la guerra non è finita e che la Russia è un gigante dai piedi di argilla che non è in grado di controllare il proprio territorio. Dall’altro, conquistare territorio in vista di un futuro negoziato nel quale presentarsi con una posizione di maggiore forza. Se l’Ucraina riuscisse a mantenere il controllo del territorio russo, magari per qualche mese, potrebbe infatti usarlo come carta vincente con la Russia. Da un punto di vista militare, Kiev sperava che i russi trasferissero parte delle loro brigate attive sul fronte del Donbass per contenere l’offensiva ucraina a Kursk. Come ha dichiarato anche il ministro della Difesa Guido Crosetto: “Ho spiegato subito, di fronte a chi parlava di aggressione, che l’attacco ucraino non è un’invasione ma una tattica difensiva, un modo per allentare la tensione in Ucraina, costringere i russi a spostare i propri uomini in Russia, che si pone l’obiettivo di ottenere un maggiore equilibrio sul campo, di trovarsi più forti davanti a un futuro, auspicabile, tavolo di pace”. La domanda è: ma chi vuole davvero la pace in Ucraina? La pace in Ucraina è lontanissima. Kiev e Mosca avrebbero dovuto sedersi attorno a un tavolo a Doha, in Qatar, ma l’offensiva di Kursk avrebbe fatto saltare ogni trattativa. In oltre due anni e mezzo di guerra, ci sono stati dei momenti in cui si sarebbe potuto raggiungere un accordo negoziale ma Stati Uniti e Regno Unito si sono fermamente opposti. Come ha ricordato  Luca Sommi a ‘Stasera Italia’, “poco dopo che la Russa invase l’Ucraina, ci fu un tentativo conciliazione che sembrava arrivato a buon termine, poi arrivò Boris Johnson che fece saltare tutto”. La rivista americana Foreign Affairs ha pubblicato un articolo approfondito nei mesi scorsi, arricchito con documenti e testimonianze inedite, sui negoziati svoltisi in Bielorussia e Turchia che, secondo quanto riferito recentemente da Dmitry Peskov, avrebbero potuto concludere la guerra tra Russia e Ucraina già ad aprile-maggio 2022, a soli due mesi dall’invasione russa. Tuttavia, i colloqui si interruppero bruscamente in quel periodo. Il massacro di Bucha è stato forse il fattore decisivo? Foreign Affairs evidenzia come, secondo alcuni osservatori e funzionari, incluso il presidente russo Vladimir Putin, fosse stato proposto un accordo per porre fine al conflitto, ma gli ucraini si sarebbero ritirati a causa di pressioni da parte dei loro alleati occidentali e della percezione della debolezza militare russa. La rivista sottolinea che non c’è una singola ragione ‘decisiva’ che abbia causato la rottura dei negoziati, ma piuttosto una serie di fattori. Pur non sposando la versione russa secondo cui Regno Unito e Stati Uniti avrebbero sabotato l’accordo, Foreign Affairs ammette che i partner occidentali di Kiev erano riluttanti a impegnarsi in un negoziato con la Russia, soprattutto se questo avrebbe comportato nuovi obblighi per garantire la sicurezza dell’Ucraina.

Nonostante le rivelazioni sul massacro di Bucha emerse all’inizio di aprile 2022, i negoziati tra Russia e Ucraina continuarono, culminando in una bozza di accordo il 15 aprile, che lasciava intravedere la possibilità di una soluzione entro due settimane. Tuttavia, i confini territoriali non furono mai discussi. Perché allora i colloqui si interruppero? Secondo il presidente russo Vladimir Putin, l’Occidente, con il Regno Unito in testa, spinse l’Ucraina a proseguire la guerra. Boris Johnson, all’epoca Primo ministro britannico, avrebbe esercitato una forte pressione su Kiev, convincendo i leader ucraini a non firmare alcun accordo e a continuare il conflitto. Come ha rivelato Davyd Arakhamiia, uno dei principali consiglieri del presidente ucraino, dopo il loro ritorno da Istanbul, Johnson visitò Kiev e consigliò di non cedere ai russi, sottolineando che qualsiasi accordo sarebbe stato una vittoria per Putin. Durante quella visita, Johnson affermò: “Putin è un criminale di guerra, deve essere messo sotto pressione”. Pochi giorni dopo, Putin annunciò che i negoziati erano arrivati a un punto morto, segnalando che qualcosa era cambiato radicalmente. Il Washington Post ha inoltre rivelato che anche la diplomazia statunitense si oppose all’accordo di aprile 2022 con Mosca. L’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett, in un’intervista televisiva, ha confermato che sia gli Stati Uniti che il Regno Unito ostacolarono l’intesa. Questa versione è supportata anche dall’ambasciatore ucraino Oleksandr Chalyi, che, durante un evento pubblico a Ginevra, ha ricordato quanto Ucraina e Russia fossero vicine a raggiungere una soluzione pacifica per porre fine alla guerra.

L’Ucraina è uno “spazio importante sulla scacchiera eurasiatica” il cui controllo dovrebbe “rendere possibile un dominio sul mondo”. Il motivo principale è che Usa e Regno Unito vogliono “dissanguare” e indebolire la Russia il più possibile, tenendola impegnata per anni in un conflitto altamente dispendioso di uomini e risorse. Ci sono ovviamente anche ragioni economiche. Se l’Europa, infatti, è stata costretta a rinunciare al gas russo a basso costo, si è dovuta affidare – almeno in parte – proprio agli Stati Uniti: secondo i calcoli di Bloomberg, la produzione americana di gas naturale liquefatto è aumentata del 14,7% nel 2023, superando i 90 milioni di tonnellate. L’Europa compra più gas: lo scorso dicembre, è salito del 64% l’import di gnl.  Come sottolineò  Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale della presidenza Carter, questi sono i motivi che spinsero Usa e Regno Unito a non accettare un accordo con Mosca.

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