Next Generation Eu e nuova politica economica europea

 Il Next Generation Eu sarà di 750 miliardi. La Commissione si farà prestare questa cifra dai mercati e a partire dalla seconda metà del 2021 verserà in tutto ai 27 Stati membri 390 miliardi di trasferimenti a fondo perduto e 260 miliardi di prestiti, ovviamente divisi in quote diverse in base a quanto il Paese è stato danneggiato dalla pandemia. Ci sono voluti cinque giorni e quattro notti per trovare un accordo e per soli 20 minuti non si è frantumato il record di Consiglio europeo più lungo della storia. Il primato rimane al summit di Nizza del 2000.

Il nostro Paese sarà il più grande beneficiario tra gli Stati Ue. Riceverà 208,8 miliardi di euro in tutto, di cui 81,4 tramite sussidi a fondo perduto e 127,4 tramite prestiti. È un ottimo risultato perché nella proposta iniziale di maggio della Commissione europea l’Italia avrebbe dovuto ricevere 173 miliardi di cui 81,8 miliardi di sussidi e 90,9 miliardi di euro in prestiti. Tradotto: il nostro Paese prenderà quasi 35 miliardi in più del previsto ma ci saranno meno sussidi (- 3 miliardi) e molti più prestiti (quasi +39 miliardi). Diventa così più difficile per il governo Conte agitare complotti e rinunciare politicamente ai 36 miliardi in prestito del Meccanismo europeo di stabilità, visto che ne accetterà il triplo dal Next Generation Eu.

Sì, ma chi ha vinto? Un po’ tutti, visto che si tratta di un compromesso politico tra 27 Stati. È sicuramente una vittoria di Francia e Germania visto che fino a un mese fa sembrava impossibile per qualsiasi osservatore far approvare un Recovery fund da 750 miliardi di euro, con quasi 400 di trasferimenti a fondo perduto. Ma è stata una vittoria soprattutto di Austria, Svezia, Danimarca e Paesi Bassi che hanno rinunciato al principio frugale di “zero sussidi” e in maniera cinica ed efficace hanno ottenuto molti più sconti sul pagamento del bilancio Ue. E tutto sommato sono riusciti a far diminuire il numero di trasferimenti a fondo perduto: 390 miliardi invece dei 500 inizialmente previsti. Per non parlare del premier olandese Mark Rutte che voleva assolutamente un meccanismo di controllo sulle riforme presentate dai Paesi per accedere ai fondi e lo ha ottenuto, anche se non è così semplice.

I vari governi nazionali dovranno presentare alla Commissione europea un piano dettagliato su come intendono spendere questi fondi europei. La Commissione deciderà entro due mesi se meriterà di essere promosso in base a quanto rispetterà le politiche verdi, digitali e soprattutto le raccomandazioni fatte da Bruxelles in questi anni. Tradotto per l’Italia sì alla riforma delle pensioni, del lavoro, della giustizia, della pubblica amministrazione, dell’istruzione e della sanità. No a una nuova Quota 100.

Come richiesto per cinque giorni e quattro notti da Rutte i piani saranno approvati dal Consiglio dei ministri dell’Unione a maggioranza qualificata e il Comitato economico e finanziario (organo dell’Ue composto da alti funzionari delle amministrazioni nazionali e delle banche centrali, della Banca centrale europea e della Commissione) valuterà l’attuazione dei piani. Una piccola sconfitta per l’Italia, visto che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in questi giorni ha sempre chiesto che fosse solo la Commissione europea, come organo indipendente, a dare il via libera al piano di riforme e a monitorare.

Un singolo Stato non avrà il potere di bloccare tutto, come invece sperava di ottenere Rutte. Per farlo serve un gruppo di paesi che rappresenti almeno il 35% della popolazione. Facciamo un esempio concreto: i quattro Stati frugali e la Finlandia insieme rappresentano il 10,69% della popolazione. Se volessero bloccare le riforme italiane dovrebbero per forza trovare l’appoggio di un Paese grande come Germania o Francia per superare la soglia del 35%.

Quindi Conte ha vinto? Dobbiamo uscire da questa logica perché il Consiglio europeo non è una finale di Champions League, ma un accordo politico. L’Italia ha ottenuto più fondi ma ha dovuto concedere un possibile veto al Consiglio dei ministri dell’Unione europea sulle sue riforme. Ma è normale in un negoziato a 27. Per dire, hanno vinto anche Polonia e Ungheria, visto che il meccanismo per impedire a un Paese che non rispetta i principi dello Stato di diritto con leggi liberticide di accedere ai fondi del Next Generation Eu non solo non è stato creato, ma dovrà essere convalidato dal Consiglio europeo. E come abbiamo visto in questi cinque giorni i 27 leader decidono all’unanimità: senza l’appoggio di Polonia e Ungheria e dei loro due alleati del gruppo Visegrad (Cechia e Slovacchia), non accadrà nulla, come ha ricordato il premier polacco Mateusz Morawiecki dopo l’accordo.

Alla fine l’unico vero sconfitto del negoziato è il bilancio pluriennale dell’Unione del 2021-2027 che ne esce più povero e striminzito. Annacquati i riferimenti alla lotta al cambiamento climatico e al rispetto dello stato di diritto, il budget Ue sarà solo di 1074 miliardi di euro (circa l’1% del Prodotto nazionale lordo dell’Unione), come proposto dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Una cifra di gran lunga inferiore dei 1300 miliardi di euro chiesti dagli eurodeputati nella sessione plenaria del Parlamento europeo dello scorso maggio. Così come i vari programmi europei legati alla ricerca, alla sanità, all’innovazione, alla transizione ecologica e digitale che sono stati ridotti in modo considerevole per far aumentare gli sconti dei già citati Stati “frugali”. Nei prossimi sette anni i Paesi Bassi otterranno 1921 miliardi di rimborsi (+25% rispetto al precedente budget), la Svezia, 1.069 miliardi (+62%), l’Austria 565 milioni (+120%) e la Danimarca 377 milioni di euro (+280%).

Il negoziato ha messo in ombra il ruolo della presidente della Commissione europea che non è riuscita a imporre in toto il sui piano iniziale. Pur di arrivare a un accordo ha lasciato quasi azzerare l’ambizioso programma Eu4health proposto per non far trovare l’Unione europea impreparata di fronte alla prossima crisi sanitaria, così come è stato azzerato lo strumento di ricapitalizzazione delle imprese e sono diminuite le risorse per i progetti di ricerca Horizon, il Just Transition Fund sulla transizione ecologica. Parliamo di programmi che fino a pochi giorni fa erano considerati intoccabili dalla Commissione.

Dovremo aspettare la metà del 2021 per vedere i primi miliardi arrivare ma gli investimenti e le riforme che sono state adottate a partire dal febbraio 2020 potranno essere rimborsate. Quindi i governi nazionali potranno già iniziare a programmare anticipando gli investimenti e contare così su un rimborso da Bruxelles. Ovviamente per i piani e le riforme che rispetteranno i criteri.

Quindi il piano è stato definitivamente approvato?Non proprio. Se n’è parlato poco ma serve ancora il via libera da parte del Parlamento europeo. Lunedì, mentre i 27 leader discutevano, il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, ha detto che l’Aula non darà il suo consenso al nuovo Next Generation Eu e al budget pluriennale dell’Unione 2021-2027 se non saranno rispettati tre requisiti. Il bilancio dell’Unione dovrà avere nuove risorse proprie, gli Stati non dovranno più godere degli sconti, bisognerà vincolare l’accesso ai fondi al rispetto dello Stato di diritto.

Oggi l’unica risorsa propria (tradotto: tasse) per finanziare il bilancio è la plastica tax. Non sarà facile approvarlo. Forse anche per questo il presidente del Consiglio europeo Charles Michel durante la conferenza stampa dopo l’accordo ha detto che gli Stati hanno tenuto conto delle richieste del Parlamento europeo. Come reagiranno gli eurodeputati?

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