Italian Justice Minister Carlo Nordio during a question time at the Senate, Rome 1 December 2022. ANSA/FABIO FRUSTACI

Nordio e Giustizia: ‘Ok di maggioranza per azione del governo contro la mafia’. Attesa la riforma

Pd, M5S e rosso-verdi rimediano una sconfitta sulla giustizia visto che  la maggioranza incassa il via libera del Senato alla risoluzione sulle comunicazioni del ministro Carlo Nordio, ma si permette anche il lusso di far passare anche quella presentata dal Terzo polo.  Quest’ultima, a prima firma della capogruppo Raffaella Paita impegna «il governo a intraprendere le iniziative normative finalizzate all’attuazione delle linee programmatiche, garantendo un confronto costante con le forze di opposizione che condividono l’obiettivo di un’azione riformatrice di matrice liberale e garantista, in conformità con i principi della Carta costituzionale».

 

Una risoluzione, come si vede, dall’alto impatto politico. Prova ne sia che successivamente la stessa Paita ha trovato il modo per polemizzare con il partito di Enrico Letta. «La scelta del Pd di votare contro la nostra risoluzione – ha infatti scritto in un tweet – dimostrano quanto quel partito sia intriso di giustizialismo. Tanto valeva – ha concluso – che facessero intervenire per loro Scarpinato». Di tutt’altro tenore le reazioni nella maggioranza. Di possibile «svolta storica per la politica giudiziaria del Paese» ha parlato Pierantonio Zanettin, senatore di Forza Italia, che ha apprezzato fino in fondo le comunicazioni di Nordio. A suo giudizio, è ora possibile cambiare passo fino ad archiviare le «troppe stagioni improntate al giustizialismo manettaro».

 

«Una relazione chiara, cristallina e trasparente quella presentata oggi dal ministro Nordio», ha sua volta commentato, a nome di Fratelli d’Italia, il senatore Sergio Rastrelli, segretario della commissione Giustizia. «Dopo anni di abbandono, di smarrimento e di improvvisazione – ha aggiunto – l’Italia ha finalmente individuato una strada per la riforma della giustizia, articolata su logiche di breve, medio e lungo periodo ma con un importante respiro strategico». , In sede di dichiarazione di voto è intervenuto, per FdI, Alberto Balboni, presidente della commissione Affari costituzionali. «Finalmente – ha detto –  la giustizia italiana è nelle mani di una persona competente».

«Non sarà mai abbastanza ribadito che non vi saranno riforme che toccheranno le intercettazioni su mafia e terrorismo»,  ha detto il ministro Carlo Nordio, in Aula al Senato, nella sua Relazione sull’amministrazione della Giustizia. «L’attività del governo nel contrasto alla mafia sarà forte, omogenea, duratura e incondizionata». L’arresto di Matteo Messina Denaro «è un’operazione il cui merito va diviso tra la magistratura e forze dell’ordine, e tra questo governo e quelli precedenti». Il ministro ha espresso l’auspicio che «la gioia per questa grande operazione sia condivisa da tutte le forze politiche».

«C’è una profonda differenza tra le intercettazioni che mirano alla ricerca di una prova e quelle che si vuole siano una prova. E quando si dice che i mafiosi non parlano per telefono», ha spiegato, «si allude al fatto che nessun mafioso abbia, ritengo, manifestato al telefono la volontà di delinquere o espresso parole che costituiscano prova di un delitto in atto o programmato. Quello cui servono le intercettazioni sono i movimenti delle persone sospettate di mafia, terrorismo e altri reati gravissimi. Quello che serve è la capacità di comprendere quali sono i rapporti occulti che legano queste persone ad altre. Anche quelle preventive sono indispensabili», ha continuato Nordio. «Altra cosa sono le intercettazioni che riguardano persone che non sono indagate né imputate. E che attraverso un meccanismo e perverso, costosissimo, di diffusione pilotata finiscono sui giornali».

Il ministro tocca un altro punto importante. «Il nostro fermo proposito è di attuare nel modo più rapido ed efficace il garantismo del diritto penale. Realizzeremo la tutela della presunzione di innocenza della persona, assicurandone la dignità e l’onore durante le indagini e il processo. E parallelamente», ha specificato Nordio, «assicureremo la certezza della pena. Una pena che non coinciderà sempre e solo con il carcere. Ma che sarà comunque afflittiva, certa, rapida, proporzionata, e orientata al recupero del condannato, secondo il nostro dettato costituzionale».

Il senatore M5s, Roberto Scarpinato,  è intervenuto per esprimere il voto contrario del gruppo alla relazione del ministro Carlo Nordio sull’amministrazione della giustizia: “La sua anima pseudo garantista, signor ministro, ha pienamente condiviso l’emendamento per escludere dal novero dei reati ostativi anche le associazioni a delinquere di colletti bianchi finalizzate alla consumazione dei più gravi reati di corruzione, che provocano danni di miliardi di euro alle casse dello Stato. Sul tema delle intercettazioni, la pretestuosità delle motivazioni addotte dal governo sia per il taglio delle spese che per la loro riforma, è rivelatrice dell’impianto ideologico che anima tutto il pacchetto di riforme: quello di un garantismo classista. Nordio ha prima affermato che le intercettazioni per i reati di mafia sono inutili perché i mafiosi veri non parlano al telefono, salvo poi dover fare una una precipitosa e pasticciata correzione di tiro dopo la cattura di Matteo Messina Denaro. Quanto alla loro diffusione sulla stampa, dal 2020 è in vigore una riforma delle intercettazioni che ha introdotto un regime di assoluta secretazione. Il linguaggio usato da Nordio non è degno di un ministro della Repubblica ma piuttosto è quello di un estremista politico che supplisce alla mancanza di argomenti, utilizzando il suo scranno per screditare le istituzioni, additando alla pubblica opinione le forze di polizia e la magistratura come poteri deviati che hanno sistematicamente abusato dei loro poteri”.

Non è un dettaglio che tra chi avanza dubbi ci sia l’immancabile Roberto Scarpinato, degnamente collocato da pensionato nelle fila parlamentari del Movimento 5 stelle.

Uno sguardo particolare è da dedicare alla polemica scatenata da magistrati e opposizione sulla necessità delle intercettazioni contro la linea restrittiva sposata dal neo guardasigilli Carlo Nordio: una linea apparentemente garantista che tende a restringerne drasticamente l’uso per determinati reati e a soli casi di reale necessità, soprattutto impiegando le intercettazioni come mezzo di ricerca di prove e non come avviene oggi come fonte primaria di accusa.

Per spiegare il punto basti evidenziare che una consolidata giurisprudenza della Cassazione ritiene che le confidenze scambiate tra due soggetti in un’intercettazione siano da considerarsi vere e proprie confessioni col timbro delle verità assolute.

Nordio sembra voler concedere ai garantisti di fatto è stato già vanificato dal governo di cui fa parte, che si è impossessato di uno degli strumenti di sicurezza più delicati, invasivi e controversi: le intercettazioni preventive svolte dai due servizi di intelligence (Aisi e Aise) al di fuori di ogni controllo giurisdizionale e introdotte nell’ordinamento italiano con le legge 144/05 guarda caso emanata da un altro esecutivo di destra, il secondo governo Berlusconi.

La normativa consente ai due direttori dei servizi segreti – previa una semplice autorizzazione del capo del governo – di intercettare chiunque per motivi di sicurezza interna ed estera contro le minacce delle organizzazioni criminali e terroriste.

Nota bene,  per avviare l’attività di intercettazione, che prevede l’uso dei micidiali software trojan che possono funzionare 24 ore su 24 penetrando nei computer e nelle abitazioni private, non è necessaria nessuna prova sull’esistenza di un reato come richiesto per le intercettazioni ordinarie disposte e controllate da un organo giurisdizionale “terzo” a garanzia dei cittadini, ma un semplice sospetto.

La riforma prevede due sostanziali novità che ne costituiscono la cifra. La prima è il controllo sulle intercettazioni svolte da parte di un’unica figura centrale, il procuratore generale presso la Corte di Appello di Roma, dunque un rappresentante unico di tutte le procure italiane, collocato nel centro della politica italiana, a un “battito di cuore” dal presidente del Consiglio, il cui sottosegretario, sempre per pura coincidenza, è un magistrato con delega ai servizi segreti.

La seconda innovazione concerne lo strumento tecnico usato per la riforma, non con un tradizionale e dedicato decreto, bensì tramite un semplice emendamento (Proposta emendativa 123.01000 in V Commissione in sede referente al C. 643-bis) inserito misteriosamente e quasi clandestinamente addirittura nell’ultima finanziaria varata, come è noto, con un voto di fiducia, ricorrendo in gran fretta al meccanismo della “ghigliottina” per strozzare ogni discussione.

La nuova disciplina è così divenuta legge a spron battuto insieme alla finanziaria che la ospita (legge il 29 dicembre 2022 n. 197/2022).

La conseguenza immediata è che la regolamentazione e il controllo di una materia così delicata sono stati sottratti al dipartimento della Giustizia per essere affidati a quello della sicurezza, attribuendo il relativo programma di spesa nella previsione di bilancio del ministero dell’Economia e delle Finanze e non nel comparto Giustizia (articolo 1, comma 684, legge 197/2022).

Il ministro della Giustizia non avrà voce in capitolo se non per i tagli da lui adombrati alle varie procure italiane che utilizzano le ordinarie attività intercettive di indagine.

In parte ciò è giustificato dal fatto che di tali intercettazioni non può essere fatto alcun uso nei processi e le stesse vanno distrutte entro e non oltre sei mesi. Ma la realtà è che si concentra in un’unica mano, nella capitale politica, un pericoloso strumento di informazioni riservate su cui nessun controllo, oltre quello del procuratore generale, è consentito.

L’unica cosa realmente particolare è che sul tema giustizia non vi sia stato un pubblico dibattito politico nonostante sia una materia particolarmente delicata. 

 

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