Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha parlato a lungo della riforma della giustizia e della separazione delle carriere dei magistrati, rispondendo alle critiche dell’Anm. Lo ha fatto intervenendo, in collegamento da remoto, a Taobuk di Taormina nell’ambito del panel “Riforma della giustizia”: “Noi siamo aperti al dialogo. Le modifiche possono intervenire in senso migliorativo, ma sempre nel parametro che ci è stato affidato dagli elettori: che ci hanno dato il compito di riformare il Csm, di separare le carriere dei magistrati. Ed è quello che noi facciamo, perché in democrazia la parola spetta agli elettori e attraverso il Parlamento che ne è espressione”.
Nordio, risponde poi alle accuse dell’Anm che, a seguito del provvedimento approvato in Cdm, ravvisava uno “scopo punitivo” per i magistrati: “Il dialogo con l’Anm sulla riforma auspico che continui nell’ambito del reciproco parametro di funzioni e con la considerazione reciproca che c’è stata finora’’. Poi chiarisce: “Basta con la litania petulante sui pm controllati dal governo. Un’accusa ridicola: io sono stato per 40 anni magistrato e per certi aspetti mi sento ancora magistrato. Non vedo la razionalità di una espressione del genere. Io queste cose le sostenevo già 30 anni fa da magistrato. E non intendevo certo auto punirmi ma volevo portare una riforma che sia nella logica del processo penale accusatorio. Il processo accusatorio che 40 anni è stato voluto da un pluridecorato eroe della resistenza, quindi non sospettabile. In tutti i paesi anglosassoni le carriere sono separate: nell’ordinamento britannico, negli Usa, in Australia, e in altri paesi del Continente europeo le carriere sono separate. E non per questo la magistratura si sente umiliata. Quando hanno saputo che qui in Italia, nei consigli giudiziari, i pm danno i voti ai giudici, sono rimasti senza parole. Al Csm la stessa cosa. Pare che in Cassazione in alcune sezioni vi siano giudici che furono pm nello stesso processo dove alla fine la Cassazione si deve pronunciare. Questa interscambiabilità negli ordinamenti anglosassoni è considerata una follia”.