Costerà fino a 50mila euro e perfino il sequestro delle navi la trasgressione delle nuove regole del codice che il governo Meloni ha studiato sulle Ong per bloccare il business dell’immigrazione e toglierlo dalle mani degli scafisti.
Il pacchetto non prevede solo sanzioni – tanto per l’armatore quanto per il comandante della nave – ma anche semplificazioni per la richiesta di asilo e di permesso di soggiorno.
La novità non sta nelle multe, nate con l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini e rimaste perfino con l’ex presidente del Consiglio, Mario Draghi. Sono la velocità che, secondo punto, renderà praticamente impossibili – al costo di violare le norme – i soccorsi multipli. Costringendo le organizzazioni a scegliere fra sommersi e salvati.
Il testo non è ancora disponibile ma da quanto è stato esposto in conferenza stampa al termine del consiglio dei ministri del 28 dicembre il punto centrale sembra proprio questo: non più solo punire il soccorso ma ostacolarlo e ridurne la capacità prevedendo, nel codice di condotta, che una volta effettuato il primo intervento in mare le imbarcazioni debbano avvisare tempestivamente le autorità italiane. Ma soprattutto che una volta assegnato un porto di sbarco, questo vada “raggiunto senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso”.
Le navi – dopo aver informato anche lo Stato di bandiera, operazione sostanzialmente propagandistica – dovranno dunque raggiungere la località, qualsiasi essa sia, magari deliberatamente indicata a distanza maggiore da dove sarebbe più agevole lo sbarco, con conseguenti lungaggini di approdo, sbarco e ripartenza, una moltiplicazione dei costi per vitto carburante e altre voci di spesa e un inaccettabile ritardo nell’assistenza di chi è stato salvato dal mare. E soprattutto non dovranno, semmai dovessero avere notizie e coordinate di altri naufragi, esitare: dritti al porto col primo gruppo di persone soccorse. Niente deviazioni di rotta e nessun intervento aggiuntivo.
Come d’altronde sta succedendo alla Ocean Viking di Sos Mediterranée: il 20 dicembre è stata autorizzata a sbarcare i naufraghi portati in salvo con un ultimo intervento, certo, ma a Ravenna. Dopo che il ministero aveva inizialmente indicato La Spezia e fatto mettere in rotta l’imbarcazione.
La strategia è chiara: prendere le ong per sfinimento di tempi e di risorse economiche con cui finanziano la navigazione, tenendole in mare il più possibile ma distanti dalle aree più a rischio e comunque senza la possibilità di fermarsi per altri soccorsi.
Il divieto di “soccorsi plurimi” dovrebbe addirittura essere inserito nel testo: tranne autorizzazioni della labirintica catena di comando che sovrintende gli sbarchi, come condotta di base le imbarcazioni non potranno portare a bordo altre persone, neanche trasferendole da altre navi magari sovraffollate. In più, si specifica che quando i migranti sono a bordo vanno avviate “tempestivamente iniziative volte ad acquisire le intenzioni di richiedere la protezione internazionale”. Il governo prova cioè a scaricare sulle ong pratiche, come queste richieste di asilo, che non competono loro.
La violazione di queste norme comporterà non solo il divieto di assegnazione del porto ma, come detto, anche una sanzione amministrativa da 10 a 50mila euro per il comandante – che è già prevista, viene dunque confermata – ma anche per armatore e proprietario e il fermo amministrativo della nave fino a due mesi. Se la ong violerà di nuovo le norme del decreto-legge, scatterà la confisca e, intanto, il sequestro preventivo. Altre multe, da 2mila a 10mila euro, sono invece previste se il comandante o l’armatore non informeranno correttamente dei loro movimenti le autorità o “non si uniformeranno alle indicazioni”. I ricorsi sono possibili di fronte al prefetto, altro segnale di accentramento dei flussi in mano al ministero dell’Interno.
Vediamo dunque il perimetro di norme entro il quale dovranno, da oggi in poi, muoversi tutte quelle navi, divenute veri e propri taxi del mare, che vanno sotto la vista libica a caricare gli immigrati messi in attesa, in mare, dagli scafisti, su natanti precari.
Primo paletto posto dal governo Meloni anche per restituire dignità territoriale e integrità dei confini alla nostra Nazione: “Il transito e la sosta in territorio nazionale sono comunque garantiti ai soli fini – specifica il decreto – di assicurare il soccorso e l’assistenza a terra delle persone prese a bordo a tutela della loro incolumità”. Un primo scoglio, dunque, a chi pensa di poter fare i propri comodi in Italia entrando e uscendo, come se nulla fosse, a proprio piacimento, dalle acque territoriali italiane.
Il governo Meloni dispone anche che le operazioni di soccorso debbano essere «immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo nella cui area di responsabilità si svolge l’evento e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle indicazioni delle predette autorità”.
Altra questione è quella dei requisiti richiesti alle navi che effettuano “in via non occasionale attività di ricerca e soccorso in mare”. Queste navi devono, ovviamente, “avere i requisiti di idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione nelle acque territoriali”” oltre ad aver “richiesto all’Autorità SAR competente, nell’immediatezza dell’evento, l’assegnazione del porto di sbarco”.
Non solo. Il “porto di sbarco individuato dalle competenti autorità” deve essere “raggiunto senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso”. Troppe volte si sono viste navi che girovagavano in zona per cercare di forzare i confini italiani.
Ancora. Le Ong “devono fornire alle autorità per la ricerca e il soccorso in mare italiane, ovvero, nel caso di assegnazione del porto di sbarco, alle autorità di pubblica sicurezza, le informazioni richieste ai fini dell’acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata delle fasi dell’operazione di soccorso effettuata”.
Alla contestazione «della violazione consegue l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per due mesi della nave utilizzata per commettere la violazione. L’organo accertatore, che applica la sanzione del fermo amministrativo, nomina custode l’armatore o, in sua assenza, il comandante o altro soggetto obbligato in solido, che fa cessare la navigazione e provvede alla custodia della nave a proprie spese».
Contro il fermo amministrativo della nave «è ammesso ricorso, entro sessanta giorni dalla notificazione del verbale di contestazione, al Prefetto che provvede nei successivi venti giorni».
In caso di reiterazione della violazione «commessa con l’utilizzo della medesima nave, si applica la sanzione amministrativa accessoria della confisca della nave e l’organo accertatore procede immediatamente a sequestro cautelare».
Per semplificare le procedure «il nulla osta è rilasciato in ogni caso qualora, nel termine indicato, non sono state acquisite dalla questura le informazioni relative agli elementi ostativi». Se poi si dimostra che non ci sono i requisiti viene disposta «la revoca del nulla osta e del visto, la risoluzione di diritto del contratto di soggiorno, nonché la revoca del permesso di soggiorno».
È consentito «il rilascio del visto di ingresso e del permesso di soggiorno per lavoro subordinato allo straniero che supera un corso di formazione organizzato nei limiti delle richieste, anche nominative, di assunzione comunicate allo sportello unico per l’immigrazione dai datori di lavoro tramite le associazioni di categoria del settore produttivo interessato».
I lavoratori «sono ammessi al corso qualora non sono state acquisite dalla questura le informazioni relative agli elementi ostativi. La domanda di visto di ingresso è presentata, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla conclusione del corso ed è corredata dalla conferma della disponibilità ad assumere da parte del datore di lavoro». Se emergono elementi ostativi «consegue la revoca del visto, la risoluzione di diritto del contratto di soggiorno, nonché la revoca del permesso di soggiorno».