Obbligo di Mantenimento dei figli minori Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 6 febbraio – 2 maggio 2018, n. 10419

L’obbligo di mantenimento dei figli minori ex art. 148 cod. civ. spetta primariamente e integralmente ai loro genitori sicché, se uno dei due non possa o non voglia adempiere al proprio dovere, l’altro, nel preminente interesse dei figli, deve far fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sue sostanze patrimoniali e sfruttando tutta la propria capacità di lavoro, salva la possibilità di convenire in giudizio l’inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni economiche globali di costui; pertanto l’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli – che investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori – va inteso non solo nel senso che l’obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l’altro genitore è in grado di mantenerli; così come il diritto agli alimenti ex art.433 cod. civ., legato alla prova dello stato di bisogno e dell’impossibilità di reperire attività lavorativa, sorge solo qualora i genitori non siano in grado di adempiere al loro diretto e personale obbligo.
V. recentissima ordinanza di seguito riportata
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 6 febbraio – 2 maggio 2018, n. 10419
Presidente Genovese – Relatore De Chiara
Fatto e diritto
Rilevato che:
la sig.ra El. Be. convenne in giudizio i sig.ri Ma. Ro. e Te. Tr., nonni paterni dei suoi figli minori Ma. e Ni. Ro., per la corresponsione degli alimenti in favore di questi ultimi, ai sensi dell’art. 433 cod. civ., nella misura di Euro 700,00 mensili a far data da luglio 2008;
i convenuti resistettero e il Tribunale di Lamezia Terme li condannò al pagamento degli alimenti nella misura di Euro 300,00 mensili a decorrere dal luglio 2009, data della domanda, nonché alle spese di lite;
la Corte d’appello di Catanzaro ha accolto il gravame dei soccombenti rigettando la domanda e compensando integralmente le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito;
premessa la natura sussidiaria dell’obbligazione alimentare degli ascendenti, rispetto a quella dei genitori, la Corte ha ritenuto che non era stata offerta dall’attrice la prova di nessuno dei presupposti oggettivi dell’obbligazione alimentare: né, cioè, dell’incapacità di entrambi i genitori a provvedere alle esigenze primarie dei minori, essendo l’appellata titolare di un reddito da lavoro di Euro 700,00 mensili, associato alla proprietà della casa di abitazione, e non avendo ella, del resto, dedotto o dimostrato la propria incapacità, per condizione professionale o sociale, di incrementare tale reddito; né della capacità degli appellanti di far fronte all’obbligazione alimentare, risultando dagli atti che essi vivevano della pensione del sig. Ro. di Euro 1.500,00 mensili;
la sig.ra Be. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, cui i sig.ri Ro.-Tr. hanno resistito con controricorso contenente anche ricorso incidentale per due motivi;
Ritenuto che:
va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per inesistenza della notificazione in quanto effettuata dall’ufficiale giudiziario su richiesta di un avvocato privo di mandato difensivo; dalla relata risulta infatti che la notificazione del ricorso è stata effettuata «su richiesta dell’avv. Lu. Ci. nell’interesse di Be. El. nella qualità di cui in atti …», ossia su richiesta di soggetto che, sebbene in effetti non munito di procura, è stato nondimeno delegato dalla parte, espressamente menzionata nella relata; sicché deve richiamarsi il principio secondo cui l’attività di impulso del procedimento notificatorio – consistente essenzialmente nella consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario – può, dal soggetto legittimato, e cioè dalla parte o dal suo procuratore in giudizio, essere delegata ad altra persona, anche verbalmente, e, in tal caso, l’omessa menzione, nella relazione di notifica, della persona che materialmente ha eseguito la attività suddetta, ovvero della sua qualità di incaricato del legittimato, è irrilevante ai fini della validità della notificazione se, alla stregua dell’atto da notificare, risulta egualmente certa la parte ad istanza della quale essa deve ritenersi effettuata; tale principio opera in genere per gli atti di parte destinati alla notificazione, la quale deve essere imputata alla parte medesima, con la conseguenza che le omissioni suddette non danno luogo ad inesistenza o nullità della notificazione stessa (Cass. 4520/2016);
il primo motivo del ricorso principale, con il quale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 433, 147 e 148 cod. civ., è inammissibile perché la sentenza impugnata ha fatto applicazione del principio, enunciato da questa Corte, secondo cui l’obbligo di mantenimento dei figli minori ex art. 148 cod. civ. spetta primariamente e integralmente ai loro genitori sicché, se uno dei due non possa o non voglia adempiere al proprio dovere, l’altro, nel preminente interesse dei figli, deve far fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sue sostanze patrimoniali e sfruttando tutta la propria capacità di lavoro, salva la possibilità di convenire in giudizio l’inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni economiche globali di costui; pertanto l’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli – che investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori – va inteso non solo nel senso che l’obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l’altro genitore è in grado di mantenerli; così come il diritto agli alimenti ex art.433 cod. civ., legato alla prova dello stato di bisogno e dell’impossibilità di reperire attività lavorativa, sorge solo qualora i genitori non siano in grado di adempiere al loro diretto e personale obbligo (Cass. 20509/2010);
con il secondo motivo del ricorso principale si deduce «omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia», nonché «travisamento degli elementi di prova» circa il grave stato di bisogno dei minori e la capacità economica dei loro nonni;
il motivo è inammissibile, applicandosi nella specie, ratione temporis, l’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. nel testo come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in 1. 7 agosto 2012, n. 134, che circoscrive il vizio di motivazione alla sola denuncia di «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti»: denuncia non contenuta, né formalmente né sostanzialmente, nel ricorso, neppure nella parte in cui esso fa riferimento allo stato di disoccupazione della ricorrente, introdotto nel giudizio di merito, inammissibilmente, soltanto con la comparsa conclusionale in grado di appello;
con i due motivi del ricorso incidentale si contesta la legittimità e comunque la congruità della compensazione delle spese dei due gradi del giudizio di merito, giustificata dalla Corte d’appello con la sola considerazione della «natura della controversia»;
tale complessiva censura è infondata poiché il riferimento, ancorché sintetico, alla natura della controversia rende evidente che la Corte di merito ha inteso valorizzare il carattere alimentare della lite quale giustificazione della disposta compensazione, con ciò ottemperando all’obbligo di esplicita indicazione dei giusti motivi di compensazione delle spese secondo l’art. 92, comma secondo, cod. proc. civ. nel testo – qui applicabile ratione temporis – come sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. a), della legge 28 dicembre 2005, n. 263 con efficacia dal 1. Marzo 2006 fino all’ulteriore modifica disposta dall’art. 45, comma 11, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (in vigore dal 4 luglio 2009 e non applicabile nella specie, essendo stata la citazione notificata il 24 giugno 2009, come risulta dallo stesso controricorso);
in conclusione, il ricorso principale va dichiarato inammissibile e il ricorso incidentale va rigettato;
la reciproca soccombenza delle parti giustifica l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità;
poiché dagli atti il processo risulta esente dal contributo unificato, non trova applicazione l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n.115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

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