Omicidi ‘ndrangheta. Imputato “i corpi sono lì, vi porto io”

“So dove sono quei tre corpi, vi ci porto, parlo adesso perchè non fa più danni a nessuno.” Queste sono le parole di Rosario Marando, uno degli imputati in un processo a Torino per alcuni omicidi aggravati dalla finalità mafiose.  I corpi a cui l’uomo si riferisce sono quelli di: Antonio e Antonino Stefanelli e Franco Mancuso, uccisi nel 1997 a Volpiano, in regolamenti di conti tra famiglie legate alla ‘ndrangheta. Marando sostiene di non recare più danni a nessuno, magari intende dire che nessuno dei colpevoli possa subire alcuna ‘punizione’, però non si è posto il problema di aver recato un danno alle famiglie dei defunti, che dopo anni ed anni sono ancora alla ricerca dei loro cari. Ma questa è la coscienza dei mafiosi, pensare soltanto ai loro ‘simili’ e non curarsi delle vittime e delle corrispettive famiglie. Il processo, effettuato in Corte D’assise, è stato interrotto. Carabinieri e magistrati si sono recati sul posto per un sopralluogo. Secondo il racconto del ‘pentito’, il mandante del triplice omicidio sarebbe suo fratello Pasqualino che avrebbe voluto vendicare l’uccisione di un altro fratello Francesco, ucciso a Torino nel 1996 e il cui corpo fu trovato successivamente, bruciato, nei boschi di Condove. “Pasqualino Marando, ha detto Rosario, avrebbe fatto contattare gli Stefanelli e Mancuso, che riteneva i responsabili dell’omicidio, per proporre loro un’alleanza contro un’altra famiglia e li avrebbe fatti trucidare appena scesi dall’auto sul luogo dell’incontro”. Rosario Marando ha raccontato di aver ricevuto poi una telefonata in cui gli veniva detto di andare nei boschi di Volpiano, dove ha trovato i tre cadaveri. “Non li ho uccisi – ha detto – ma ho solo aiutato gli altri presenti, Rosario e Antonio Trimboli, Giuseppe Perre e Giuseppe Leuzzi, a seppellirli”. I due Trimboli sono scomparsi in Calabria nel 2000 e forse sono stati uccisi a loro volta; Leuzzi è stato condannato ed è in carcere; Perre è incapace di intendere per una malattia che lo ha colpito. “Il mio assistito – ha spiegato l’avvocato Wilmer Perga – non ha parlato prima perché temeva di subire ritorsioni e perché un altro suo fratello, Domenico, è stato condannato ingiustamente a 30 anni in un altro procedimento”.

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