La mafia torna a sparare a Palermo. L’uomo è stato ucciso a colpi di pistola stamani in via D’Ossuna, nel quartiere Zisa, a poche centinaia di metri dal tribunale. Sul posto sono giunte alcune volanti della polizia e gli uomini della Scientifica per effettuare i rilievi. Secondo le prime ricostruzioni, la vittima sarebbe stata affiancata mentre era in bicicletta da due uomini in moto che gli avrebbero esploso contro diversi colpi di pistola.
La vittima è Giuseppe Dainotti, 67 anni capomafia scarcerato nel 2014, la vittima dell’omicidio avvenuto questa mattina in via D’Ossuna. Sul luogo del delitto, avvenuto nel quartiere Zisa, c’è la squadra mobile e il pm della Dda Anna Maria Picozzi. Secondo le prime ricostruzioni il capomafia era in bici quando è stato affiancato da due killer che gli hanno sparto alla testa.
Quello di Giuseppe Dainotti è un nome importante negli organigrammi mafiosi. Boss del mandamento di Porta Nuova, fu condannato per omicidio e per la rapina miliardaria al Monte dei Pegni nel 1991. Venne scarcerato, nonostante la condanna all’ergastolo, grazie a una sentenza della Corte Costituzionale che bocciò il cosiddetto “ergastolo retroattivo”, giudicando illegittima una norma che, in determinati casi, consentiva retroattivamente l’applicazione del carcere a vita anziché quella della pena più favorevole dei 30 anni. La Cassazione, in forza del verdetto, dovette commutare in 30 anni diverse condanne all’ergastolo, tra cui quella di Dainotti. Che nel 2014 fu liberato per espiazione della pena. Il verdetto della Consulta seguiva la cosiddetta legge Carotti che, entrata in vigore nel gennaio 2000, consentiva ai colpevoli di reati per cui era previsto l’ergastolo di vedere commutata la pena in 30 anni di carcere se chiedevano il rito abbreviato. A questa legge, nel novembre 2000 seguì un decreto interpretativo, che, di fatto, all’art. 7 ne cancellava i contenuti, stabilendo che chi chiedeva l’abbreviato aveva diritto solo a non fare l’isolamento diurno. Ma questa lettura della norma venne prima respinta dalla Corte di Strasburgo, poi dalle sezioni unite della Cassazione nell’aprile 2012 e quindi dalla Corte Costituzionale.