Onu e migranti: ‘I migranti non sono profughi’

Un dossier dal titolo ‘The Scaling Fences: Voices of Irregular African Migrants to Europes’,  mette nero su bianco il vero motivo per cui gli immigrati vengono in Europa. Il Giornale ha pubblicato i dati, realizzati dall’Undp (United Nations Development Programme), che ha intervistato più di tremila immigrati provenienti da 43 diversi paesi africani e stabilitisi in tredici Paesi europei, scoprendo che questi non partono affatto per guerre, carestia e povertà. I migranti, arrivati quasi tutti con i barconi, per il 49 per cento avevano un lavoro, in molti casi uno stipendio maggiore e un livello di istruzione più alto della media dei connazionali. In molti gli intervistati assicurano che guadagnavano a sufficienza per vivere dignitosamente anche in Africa. E il 12 per cento ha assicurato che era in grado anche di mettere via risparmi. La situazione, in virtù dei dati ricavati è  ben diversa da quella propinata dalla sinistra agli italiani.  che la sinistra coi suoi proclami vuole propinare agli italiani. In realtà, come sancito anche dall’Onu, ‘i migranti non sono profughi’.

Il fenomeno migratorio si analizza attraverso diverse dimensioni. C’è indubbiamente una migrazione temporanea e temporale legata ai lavori stagionali di raccolta di frutta e derrate in agricoltura che è ben diversa da quella stabile legata  da progetti migratori che prevedono il proprio futuro nel paese scelto come destinazione. A questo proposito si può affermare che nei migranti è molto frequente ‘il mito del ritorno’; la maggior parte di essi sogna di ritornare nel proprio paese, sia pure per il solo motivo di mostrare ai propri compaesani il proprio riscatto. Un’altra dimensione è quella relativa alla regolarità dell’ingresso e della presenza nel paese d’approdo in possesso di documentazione appropriata che ne attesti la presenza in quanto cittadino di un altro paese. Questa ultima tipologia si riconduce necessariamente ai diversi orientamenti delle politiche adottate dagli Stati che possono essere ‘di contenimento’ o ‘di apertura’ nei confronti dei processi d’immigrazione.

E’ importante, a monte, distinguere le  migrazioni forzate dalle  migrazioni volontarie. È a partire da queste considerazioni che è stato proposto di considerare per ‘migrazione forzata’ sia quella dei richiedenti asilo e di rifugiati, sia la stessa migrazione economica.

 In senso stretto, comunque si riferisce ai movimenti di rifugiati e di persone costrette a muoversi all’interno del paese a causa di conflitti o di disastri naturali, ambientali, chimici o nucleari, carestia o progetti di sviluppo. I richiedenti asilo sono persone che richiedono una protezione internazionale. Nella maggior parte dei casi, la domanda di asilo viene fatta una volta raggiunto il paese di destinazione, sebbene sia possibile farla anche prima di giungervi, ad esempio recandosi presso un’ambasciata o un consolato dello Stato a cui si intende richiedere protezione. Nello spiegare perché le persone cerchino una via di fuga altrove, la definizione di rifugiato presente nella Convenzione delle Nazioni Unite del 1951, si focalizza sul concetto di ‘persecuzione’.

Come visto la realtà descritta dalle Nazioni Unite è infatti ben diversa. La fuga dal paese d’origine  è dovuta per il 60 per cento alla volontà di trovare un altro lavoro e mandare i soldi a casa. Per il 18 alla ‘famiglia o amici’. E infine per l’8 per cento all’istruzione. Ma nessuno accenna a situazioni di pericolo in patria o di essere stato costretto. Il viaggio verso le coste italiane è visto come un ‘investimento’. In genere per arrivare in Europa pagano circa 2700 dollari che sono finanziati spesso dai parenti. Poi, una volta arrivati a destinazione, cercano un lavoro. E quindi mandano i soldi a chi ha investito nel viaggio. ‘Investitori’ che come scrive l’Onu si attendono degli utili: un ‘ritorno dell’investimento’. Chi parte lo fa nell’attesa di una bellanova-vita…

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