epa07352290 A handout photo made available by the Berlinale shows a scene from the movie 'By the Grace of God' (Grace a Dieu) by Francois Ozon. The film runs in the official competition of the 69 Berlin Film Festival that runs from 07 to 17 February 2019. EPA/Jean-Claude Moireau / BERLINALE / HANDOUT Editorial use only in connection to the reporting on the Berlinale 2019 until 15 March. HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

Ozon e lo scandalo dei preti pedofili

“Lunedì il film esce in Francia, chissà se Barbarin sarà in sala…” Il film è “Grace a Dieu”, di Francois Ozon, che ha portato oggi alla Berlinale lo scandalo di circa 70 bambini abusati da un prete pedofilo, Bernard Preynat, sempre coperto dalla chiesa di Lione. E Philippe Barbarin è il cardinale che ha tentato di tenere la verità nascosta, per non subirne le conseguenze. Ma Ozon, che si è fatto questa domanda davanti ai giornalisti, ha assicurato di essere molto più interessato alle vittime che al clero: “non volevo fare un film politico. Ma civile”. “E mi sono concentrato sulle vittime. Il mio obiettivo era mostrare quanto la parola abbia un effetto liberatorio, su chi ha subito gli abusi e sull’ambiente circostante”. “Grace a Dieu”, che corre per l’Orso, dà voce principalmente a tre uomini, Alexandre (Melvil Paupaud), Francois (Denis Menochet) ed Emmanuel (Swann Arlaud), che si confrontano con approcci molto diversi ai traumi subiti nell’infanzia, in un climax emotivo che quasi divide il film in altrettante sezioni, con ritmi e registri progressivamente più intensi. Alexandre, credente e logorato dal passato, padre di 5 figli, molto benestante, non ha mai rinnegato il sentimento religioso e tenta di far esplodere il caso all’interno della Chiesa, quando scopre che chi lo molestava da bambino è ancora in servizio, per giunta a contatto con dei ragazzini. Ne vorrebbe la destituzione, ma gli viene spiegato che non la otterrà mai, “resterà prete per sempre”, gli rispondono, “pregherò per lei…”. Una posizione che lo induce a sporgere denuncia in tribunale. Il suo caso però è già in prescrizione, e quindi cerca altre vittime, che possano far avviare il processo. A questo punto il filo della storia passa a Francois, un tipo ben più sanguigno, che gestisce il caso puntando sul clamore mediatico. È qui che nasce l’associazione “La Parole libérée”, cui si uniranno decine di altre vittime. Ma è la terza storia, quella di Emmanuel, a caricare il film di emotività, mostrando le conseguenze tangibili della pedofilia nella vita di una persona rimasta fragile, fra attacchi di epilessia, complessi sessuali, e violenti scontri con la compagna. Anche le famiglie giocano un ruolo importante: ci sono le colpe di genitori, che non hanno voluto vedere – la madre di Emmanuel non aveva mai indagato, quando il figlio le aveva raccontato di un bacio in bocca ricevuto dal prete – o che ancora temono gli effetti della ribalta della cronaca – come nel caso di Alexander. Fondamentale è l’appoggio dei partner, che in due terzi dei casi, è stato spiegato alla stampa, hanno subito a loro volta abusi nell’infanzia. “Non è stato facile finanziare questo film – ha spiegato il produttore Nicolas Alrmayer – anche partner classici sono venuti meno a causa del tema”. Gli attori stessi hanno ammesso di essere intimoriti dall’argomento inizialmente. E il film è stato girato sotto falso titolo, all’inizio, per paura di incorrere in censure. Ma rompere il silenzio è l’unica vera arma contro l’omertà, che caratterizza gli ambienti in cui si verificano violenze sui bambini: “l’80% avviene nelle famiglie, ma poi ci sono lo sport, la chiesa”, ha detto Ozon. Il processo al cardinale Barbarin è ancora in corso – risponde di mancata denuncia in un procedimento inizato nel gennaio 2019 – e uno dei problemi cruciali è il rischio della prescrizione. “Chi ha subito violenza è in grado di parlarne in genere intorno ai 50-60 anni, quando si è costruito una famiglia, ha un lavoro. E per la giustizia a quel punto è troppo tardi”. La prescrizione, che prima scattava a 20 anni dai fatti, adesso ne prevede 30. Ma tre decenni per elaborare l’orrore e denunciarlo spesso non bastano.

 

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