Gli sforzi diplomatici per incontrare Vladimir Putin a Mosca, che però per il momento vanno esclusi, e quelli per smuovere il patriarca Kirill, che però «con una carta in mano mi ha letto tutte le giustificazioni della guerra».
Qualche giorno fa in un lungo colloquio con il Corriere della Sera, il Papa ha raccontato l’impegno della Santa Sede per la pace in Ucraina, chiarendo che la sua azione in questo momento è concentrata sulla Russia. È lì che il Pontefice sente di dover intervenire, tanto da dire che «a Kiev per ora non vado».
Bergoglio ha ricordato di aver chiamato Zelensky il primo giorno di guerra, di aver inviato in Ucraina il prefetto del Dicastero per la Promozione dello Sviluppo umano integrale, il cardinale Michael Czerny, e il suo elemosiniere, il cardinale Konrad Krajewski. «Ma io – ha spiegato – sento che non devo andare. Io prima devo andare a Mosca, prima devo incontrare Putin. Ma anche io sono un prete, che cosa posso fare? Faccio quello che posso. Se Putin aprisse la porta…». Putin, ha proseguito il Papa, «lo avevo sentito a dicembre per il mio compleanno, ma questa volta no, non ho chiamato».
Invece, si è recato dall’ambasciatore russo per «fare un gesto chiaro, «che tutto il mondo vedesse». «Ho chiesto che mi spiegassero, gli ho detto “per favore fermatevi”». Poi i messaggi inviati a Mosca attraverso il cardinale Parolin, per far sapere a Putin che era disposto ad andare a Mosca. Un viaggio per il quale, però, «era necessario che il leader del Cremlino concedesse qualche finestrina». Ma «non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo, anche se temo che Putin non possa e voglia fare questo incontro in questo momento. Ma tanta brutalità come si fa a non fermarla? Venticinque anni fa – ha detto il Pontefice – con il Ruanda abbiamo vissuto la stessa cosa».
Bergoglio teme che Putin non voglia fermarsi e, ragionando sulla situazione attuale, ha detto che forse «l’abbaiare della Nato alla porta della Russia» può averlo indotto a scatenare il conflitto. «Un’ira che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì», ha commentato Bergoglio, riconoscendo però che «non si può pensare che uno Stato libero possa fare la guerra a un altro Stato libero». Si affaccia nel colloquio il tema della “guerra mondiale a pezzettini”, rispetto alla quale Papa Bergoglio aveva lanciato un allarme già anni fa. Ma «il mio allarme – ha sottolineato Bergoglio – non è stato un merito, ma solo la constatazione della realtà: la Siria, lo Yemen, l’Iraq, in Africa una guerra dietro l’altra. Ci sono in ogni pezzettino interessi internazionali».
«In Ucraina sono stati gli altri a creare il conflitto. L’unica cosa che si imputa agli ucraini è che avevano reagito nel Donbass, ma parliamo di dieci anni fa. Quell’argomento è vecchio».
«Hanno una suscettibilità, si sentono sconfitti o schiavi perché nella Seconda guerra mondiale hanno pagato tanto tanto. Tanti uomini morti, è un popolo martire.
Il Papa, sul tema della fornitura di armi ha ammesso che «non so rispondere». Secondo Bergoglio, che ha lanciato un duro monito contro il commercio delle armi, definendolo «uno scandalo», infatti, «le guerre si fanno per questo: per provare le armi che abbiamo prodotto» e «la cosa chiara è che in quella terra si stanno provando le armi».
«Il patriarca Kirill può essere l’uomo in grado di convincere Putin ad aprire uno spiraglio?», è stata poi la domanda rivolta al Papa. Il Papa ha risposto scuotendo la testa e raccontando quanto deludente sia stato l’esito di un colloquio avuto via Zoom e durato 40 minuti. «I primi venti, con una carta in mano, mi ha letto tutte le giustificazioni alla guerra. Ho ascoltato e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Fratello, noi – è stato il monito di Bergoglio a Kirill – non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù». «Dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il fuoco delle armi. Il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin», ha riferito ancora Francesco, rivelando di come entrambi abbiano convenuto sull’opportunità di far saltare l’incontro fissato a Gerusalemme per il 14 giugno. «Sarebbe stato il nostro secondo faccia a faccia, niente a che vedere con la guerra. Ma adesso anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere un segnale ambiguo».
«Per la pace – ha quindi rilevato Bergoglio – non c’è abbastanza volontà. La guerra è terribile e dobbiamo gridarlo. Per questo ho voluto pubblicare con Solferino un libro che ha come sottotitolo “Il coraggio di costruire la pace”. Orbán, quando l’ho incontrato, mi ha detto che i russi hanno un piano, che il 9 maggio finirà tutto. Spero che sia così, così si capirebbe anche la celerità dell’escalation di questi giorni. Perché adesso non è solo il Donbass, è la Crimea, è Odessa, è togliere all’Ucraina il porto del Mar Nero, è tutto. Io – ha spiegato il Papa – sono pessimista, ma dobbiamo fare ogni gesto possibile perché la guerra si fermi».