Epatite C: oltre 170mila persone trattate, 100mila quelle infette senza saperlo

Ad oggi nel mondo ci sono circa 71 milioni di persone affette dal virus dell’epatite C. In Italia, che tra i Paesi europei presenta il maggior numero di persone esposte al virus dell’epatite C,  si stima che la prevalenza del virus sia dello 0.7-1.4%. Oggi, grazie alle nuove terapie antivirali IFN-free (DAA), è possibile raggiungere la clearance virale e dunque la guarigione in oltre il 95% dei casi trattati. Ad oggi i trattamenti antivirali avviati sono circa 170 mila a fronte dei 240 mila previsti per il triennio 2017-2019.

Ecco perché proliferano le occasioni di confronto e i convegni per sensibilizzare e educare specialisti e operatori sanitari al fine di poter raggiungere porzioni di popolazioni e di pazienti anche ignari di avere contratto la malattia. Nelle scorse due decadi, analogamente a quanto avvenuto in Europa, anche nel nostro Paese si è registrata una significativa modificazione dell’epidemiologia dell’infezione da HCV. È ormai dimostrato che il trattamento dell’infezione da HCV ha un vantaggio sia a livello del singolo individuo sia a livello della popolazione generale. Inoltre si stima che attualmente oltre 200mila italiani siano rimasti da trattare e che molti di questi possano rischiare una degenerazione sino alla cirrosi epatica o al tumore del fegato, due delle principali complicazioni dell’epatite C, con un costo sociale di centinaia di milioni di euro l’anno legato alla gestione di queste condizioni cliniche.

E’ in questo quadro complesso e allo stesso tempo promettente che si inserisce l’appuntamento “Be Fast, Be Different”, organizzato con il contributo non condizionato di AbbVie, in corso sino a stasera, presso l’Hotel Palazzo Viceconte di Matera, e successivamente il 13 e 14 giugno a Roma e poi a settembre a Torino e Milano. L’evento è una occasione di incontro e confronto non accademico ma di arricchimento, formazione e sano pragmatismo, tra specialisti il cui obiettivo è quello di creare un momento di formazione reciproca attraverso la condivisione delle diverse esperienze cliniche sulla gestione del paziente con HCV.

L’obiettivo finale è di consentire la condivisione e l’approfondimento, non solo di informazioni scientifiche aggiornate, ma anche di esperienze di pratica clinica, in modo tale da offrire ai pazienti l’opportunità di beneficiare delle cure migliori. Dati, statistiche, opportunità di cura, identificazione di centri e pratiche di best practice dalla Lombardia alla Basilicata passando per Lazio e Campania..

“Tossicodipendenti, detenuti, pazienti fragili e con esposizione ai fattori di rischio tradizionali (emotrasfusioni, pratiche a rischio) rappresentano oggi le categorie di popolazione sulle quali è opportuno concentrare i nostri interventi di sanità pubblica, attraverso studi pianificati, coorti,percorsi di screening gratuiti per le categorie a rischio, al fine di promuovere l’eradicazione del virus dell’HCV come previsto dall’OMS a partire dal 2030 – dichiara Nello Buccianti, direttore U.O.C. Medicina interna A.O.U. San Carlo, Potenza. “L’Italia è tra i pochi paesi che ha aderito a questo programma. Ridurre la prevalenza dell’infezione del 90% significa ridurre la mortalità del 75% per le complicanze associate all’infezione (epatocarcinoma e manifestazioni extraepatiche).

 Il programma di microeliminazione del virus è un obiettivo realizzabile. Per raggiungere le categorie a rischio è necessario organizzare e implementare nuovi modelli di intervento, come il “case finding”, che richiede la collaborazione tra i Serd, gli Istituti Penitenziari, i Medici di Medicina Generale per rendere più fluido il trattamento dei pazienti che abbiano contratto la malattia negli anni ’60 e ’70. Il convegno si propone di perseguire proprio questo obiettivo, ambizioso ma realistico: far emergere nuovi modelli organizzativi per estendere l’efficacia dei trattamenti antivirali a popolazioni a rischio e individuare quei casi di infezione sommersa che rappresentano i “reservoir””, i serbatoi ancora attivi del virus”.

Dall’inizio delle nuove terapie in Italia sono state trattate oltre 170mila persone. Ma, nell’ottica dell’eliminazione dell’infezione, non va dimenticata la popolazione generale: alle circa 100mila vittime dell’HCV sino ad oggi, vanno ad aggiungersi altre circa 100mila persone che sono infette senza saperlo. Il progetto avviato da AIFA per il trattamento di tutte le persone affette da HCV sta procedendo con una buona efficacia. Ciò che manca ancora è una strategia globale che permetta di far emergere il sommerso. I farmaci disponibili sono di altissima efficacia e assicurano in oltre il 95% dei casi l’eradicazione dell’infezione nei soggetti infetti.

“I nuovi farmaci hanno la peculiarità di condurre all’eradicazione del virus nel soggetto infetto in appena 8 settimane di terapia – spiega Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT, Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali – Questa efficacia in tempi così brevi è un’arma vincente in assoluto. Un approccio assai rapido e diverso in modo particolare per i casi più complicati, in cui fondamentale resta l’aderenza alla terapia da parte del paziente e la corretta assunzione dei farmaci per non incorrere in successive difficoltà. Ciò vale soprattutto per le cosiddette key population, come tossicodipendenti e detenuti, migranti e persone fragili. I tossicodipendenti in particolare sono la fonte principale di trasmissione del virus. Si è calcolato che un tossicodipendente infetto è in grado di trasmettere l’infezione in 3 anni ad almeno altri 20 soggetti, generando uno di quei serbatoi del virus che intendiamo combattere e eliminare”.

Arianna Manzi

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