Matteo Renzi risponde con fermezza all’accerchiamento di chi lo attacca dopo i risultati delle amministrative annunciando che risponderà agli attacchi nella direzione Pd del 10 luglio. A
Il segretario accoglie con calma e rispetto l’intervista, che agita non poco i Dem, in cui Walter Veltroni lo invita a cambiare passo e presentarsi ‘per’ e non ‘contro’. E allo stesso modo recepisce il comunicato stampa in cui Romano Prodi replica a un presunto attacco del segretario e dice di avere la tenda già fuori dal Pd.
Prodi non ha digerito le uscite post ballottaggi in cui Renzi e i suoi hanno bocciato le ‘coalizioni tenute dal vinavil’, ha decretato il fallimento del modello Pisapia sponsorizzato da Prodi a Genova e ha affermato, in un colloquio con Qn, che ‘i migliori amici del Berlusca sono i suoi nemici’.
La linea del Nazareno la dà un tweet di Matteo Richetti: ‘La nostra volontà è il contrario che cacciare Prodi’.
Ma altro discorso è il fuoco di fila che a stretto giro parte dall’interno del partito. Contro Dario Franceschini e Nicola Zingaretti l’irritazione viene a stento trattenuta. Quando i due accusano Renzi di dividere e non unire, arrivano repliche come quella del renziano Ernesto Carbone che accusa il ministro di aver ‘fiutato il vento’ sfavorevole al segretario come – è il sottinteso – fece con Enrico Letta quando passò con Renzi.
Franceschini è in rotta con il segretario perché gli ha dato poco spazio negli organi dirigenti del partito, sottolineano tra l’altro i renziani. E Zingaretti dovrebbe fare piuttosto i conti con il risultato elettorale deludente dei comuni del Lazio. Il sospetto è che ci sia un attacco alla leadership, come dimostrano le parole di Gianni Cuperlo, che accusa Renzi di ‘dividere’ quando serve un leader ‘unitario’.
Ma il segretario invita alla calma, a non alimentare la rissa. La leadership, affermano, non è in discussione: centinaia di migliaia di voti alle primarie lo testimoniano. Punto. Sulla linea politica si discuterà ma non si può pretendere di imporla con un accerchiamento di correnti e un ritorno a ‘caminetti’ che sembrano riportare a un passato in cui si faceva fuori Veltroni per il voto in Sardegna.
Niente di tutto ciò, replicano i franceschiniani: il tentativo è far ragionare Renzi, portarlo ad analizzare la sconfitta elettorale e accettare il dialogo nel centrosinistra. Come si fa, replicano i renziani, a chiedergli di mettersi a discettare di coalizioni con Mdp che vota costantemente contro il governo? La tentazione di qualche renziano sarebbe votare subito e chiudere il discorso, non far riorganizzare gli avversari, ma non sembrano esserci margini.
Renzi tira dritto per la sua strada: è pronto al dialogo sui contenuti perché per vincere, afferma, si deve lavorare all’Italia 2020. Di questo parlerà a Milano venerdì. In direzione il 10 ci si confronterà sul partito e si vedrà chi ha i numeri. Ma i numeri dopo il congresso sono tutti per il segretario: 84 i membri della maggioranza e di questi una cinquantina sono renziani, meno di una ventina franceschiniani, 24 gli orlandiani e 12 gli emiliani. L’esito sembra già scritto. Almeno in quella sede.