Pd, Letta segretario con 860 sì: ‘Serve un nuovo Pd, no al partito del potere’

Enrico Letta è stato eletto al Nazareno  segretario del Pd con 860 voti a favore (2 i no e 4 gli astenuti).  E’ salito sull’inedito ‘palco’ al Nazareno in diretta streaming per il suo discorso con la consapevolezza di essere il nuovo numero uno anche se quello che serve è “un nuovo Pd”.  È fondamentale per  Letta “fare un partito che abbia le porte aperte. L’apertura sarà il mio motto: spalanchiamo le porte del partito”. Poi dopo la votazione ha ringraziato tutti “siamo chiamati a uno sforzo terribile, ce la metterò tutta”, ha assicurato.

L’assemblea è iniziata con l’intervento della presidente dem, Valentina Cuppi: “Serve un partito che sappia interpretare e combattere per le istanze democratiche” senza rimanere imbrigliato da “battaglie intestine fra aree culturali che rischiano di cristallizzarsi in lotta fra correnti”. Dopo l’intervento della presidente Cuppi, la diretta streaming dell’assemblea è stata sospesa, impegnata negli “adempimenti formali” per la presentazione delle candidature e le relative sottoscrizioni. È ripresa poi con l’annuncio della raccolta delle firme a sostegno della candidatura di Enrico Letta: 731 per la precisione.

 Letta, nella sede del partito, questa mattina ha trovato anche il ministro Andrea Orlando, Peppe Provenzano, Walter Verini, Cecilia D’Elia, Brando Benifei, Chiara Braga, Nicola Oddati, Caterina Bini, Luigi Zanda, Stefano Vaccari. In un primo momento, era stato annunciato, oltre a lui, solo la presenza della presidente Cuppi.

L’assemblea dem si è aperta, come detto,  con l’intervento della presidente Valentina Cuppi, dal palco al Nazareno, affiancata dalle vicepresidenti Anna Ascani e Debora Serracchiani: “Oggi do formalmente la comunicazione all’assemblea nazionale delle dimissioni da segretario di Nicola Zingaretti”, che ha ringrazato più volte. Le sue dimissioni “sono state un atto politico molto forte che ci spinge a un’analisi profonda del partito, che ci interroga sullo stare insieme, sul pluralismo. Era evidente che volesse dare una scossa al partito, fare in modo che emergessero in maniera chiara e trasparente i problemi che ci sono. Ora sta a noi cogliere l’opportunità. Dobbiamo affrontare le dinamiche di battaglie intestine tra aree che invece di arricchire il pluralismo rischiano di cristallizzarsi in lotta tra correnti. Possiamo essere il partito che al contempo si occupa dei diritti civili e sociali senza farci dipingere come quelli che si dedicano solo ai primi? Dobbiamo occuparci di entrambi”.

 

E ancora. “Vogliamo essere il partito che rivendica il congedo parentale, ma che ha il coraggio di dire che il 50% di retribuzione è poco, perché penalizza le donne. E che se si protrarrà la chiusura delle scuole serviranno più investimenti. Dobbiamo essere il partito che si batte per il concedo paterno obbligatorio di tre mesi. Possiamo occuparci dei diritti civili e sociali, del salario minimo, della transizione economica, dello ius soli e dello ius culturae. Dobbiamo essere all’altezza di costruire una società più giusta per tutte e tutti, che metta al centro le persone, cambi radicalmente il paese e il modello di sviluppo per superare le disuguaglianze territoriali, generazionali e di genere – ha sottolineato nel suo intervento Cuppi – Serve un coinvolgimento dal basso verso l’alto, rendendo i circoli luoghi di partecipazione, dove si sappia che si può ambire a porre le basi di una proposta di legge che arrivi fino al Parlamento. Questo fa un partito progressista, riformista e democratico, che sappia tessere relazioni. Deve essere”, ha continuato Cuppi, “il partito dei militanti e non quello delle correnti, il partito dei sindaci e delle sindache, un partito di lotta e di governo, che fa il women new deal e che sappia praticare veramente una politica femminista, che ambisca a fare sì che cessino le diseguaglianze territoriali e di genere. È una ambizione troppo grande? Non lo credo, non lo è: molto di questo esiste già, dobbiamo solo farlo emergere e farlo diventare protagonista”.

Poi la conclusione: “È il momento di trovare le ragioni della nostra unità, dello stare insieme attorno a una visione chiara e netta. E il modo migliore per ringraziare Nicola Zingaretti è continuare su questa strada con perseveranza e questo è l’augurio più grande che posso fare a chi prenderà le redini di questo partito”.

Con 713 sottoscrizioni Letta è il candidato unico alla segreteria, come ha riferito Cuppi.

  Il discorso di Letta è il cuore di questa insolita assemblea senza dibattito, ma puramente ‘elettiva’, con voto elettronico. E poco prima di mezzogiorno, l’ex premier ha preso la parola dalla sede del partito: “Vorrei che oggi la discussione non si chiudesse ma iniziasse. Domani presenterò un vademecum di idee da consegnare al dibattito dei circoli per due settimane. Ne discutiamo insieme e poi facciamo sintesi in una nuova assemblea”. Ha messo subito le cose in chiaro, riconoscendo i limiti del Pd: “Lo stesso fatto che sia qui io e non una segretaria donna dimostra che esiste un problema” sulla parità di genere. “Io metterò al centro” il tema delle donne: è “assurdo” che sia un problema.

Aprire le porte del partito, quindi, perché quello che “serve è un nuovo Pd”. 

Dal Pd al governo e alle alleanze. Prima di tutto, Letta ha chiarito: “Il governo di Mario Draghi è il nostro governo. È la Lega che deve spiegare perché lo appoggia, non noi”. Poi ha aggiunto: “Io credo nella coalizione. Dobbiamo costruire un nuovo centrosinistra su iniziativa e leadership del Pd. Parlerò con tutti coloro che sono interessati a un dialogo: parlerò con Speranza, con Bonino, con Calenda, con Renzi, con Bonelli, Fratoianni, con tutti gli altri possibili interlocutori anche nella società. Questo nostro centrosinistra andrà all’incontro con il Movimento 5 stelle, che sarà guidato da Giuseppe Conte, al quale va il mio saluto affettuoso”.

Riguardo all’incontro con il Movimento Cinque Stelle è utile ricordare che  per anni i grillini lo hanno indicato tra i nemici da abbattere. Lo hanno definito “ballista”, “superporcellum”, “collaborazionista dei nazisti”, “chierichetto di De Mita”. E ancora: “il gemello del crack” (l’altro era Alfano). Ma anche “Capitan Findus”, “mantenuto dalla politica”, “pidiellino ad honorem”.

Ora, gli stessi esponenti che lo hanno insultato, lo portano in trionfo. A cominciare da Beppe Grillo: «Con questi non ci mescoleremo mai». Così rispondeva il fondatore del M5s, all’appello rivolto dall’allora premier incaricato ai capigruppo Roberta Lombardi e Vito Crimi durante le consultazioni alla Camera. Era il 25 aprile 2013, le consultazioni furono trasmesse in diretta streaming, perché all’epoca i pentastellati invocavano “trasparenza” e “onestà”.

Riletta adesso, appare esilarante per chi non li ha votati, ma sconfortante e indigesta per tutti coloro che al M5s hanno dato fiducia.  Il 10 maggio 2013 un post è titolato “Capitan Findus Letta si tiene i soldi“. Si parla di tagli ai costi della politica: “Un mantenuto dalla politica dal 1996, Enrico Letta, ci fa lezioni di morale”, tuona il Blog. “Non accettiamo lezioni da una persona che si tiene stretta i 46 milioni di euro di rimborsi elettorali del pdmenoelle…”.

Si va poi da “Le mille balle blu di Letta” con tanto di hashtag #LettaMente (5 novembre 2013) a “Letta ballista d’acciaio” (7 novembre 2013), passando per il post “Letta mente sempre due volte”. E ancora: “Letta pidiellino ad honorem” (2 ottobre 2013), “Il ballo del pinguino di Letta con i finanziamenti pubblici ai partiti” (23 luglio 2013), “Letta, facce Tarzan” (26 giugno 2013) – post nel quale l’ex premier viene apostrofato come “il Nipote di suo Zio” (il consigliere politico di Berlusconi, Gianni Letta).

 Il 12 novembre 2013 lo stesso Grillo definisce Letta come “il novello Quisling italiano“, ovvero “il collaborazionista norvegese al servizio dei nazisti durante l’ultima guerra mondiale”. E ancora: il 4 ottobre 2013 Grillo se la prende con i “chierichetti di De Mita“: “I gemelli del crack Letta&Alfano non li ha eletti nessuno, sono stati nominati da Berlusconi e Bersani, da soli non prenderebbero un voto”.

Stringere le alleanze sì,  ma anche “portare avanti l’impegno con il senso del limite, del rispetto e del decoro.

 

 

 

 

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