Giuseppe Conte può dare una spinta vitale a M5S facendogli recuperare parte del consenso perduto in questi anni. La maggior parte dei consensi, infatti, l’avvocato li strapperebbe all’alleato dem e la sua presenza, pur facendo leggermente lievitare le percentuali complessive della coalizione giallorossa, non le permetterebbe comunque di superare il centrodestra.
Ma sono dati da valutare con prudenza, anche se godeva del 65 per cento dei consensi prima di essere sostituito. Poi, bisogna tener di conto che non sempre i conti prelevati da sondaggi si trasformano in risultati elettorali.
I partiti personali, nei quali è predominante la figura di chi li guida, hanno vissuto quasi sempre brevi stagioni. E oggi siamo in presenza di una politica liquida, di una società senza riferimenti, per cui la situazione è sempre molto fluida: basti pensare che i 5S in tre anni hanno dimezzato i loro voti, mentre la Lega è salita dal 18 al 34 per poi ridiscendere di oltre dieci punti.
Le rilevazioni di queste ore, in ogni caso, delineano un altro elemento chiaro: alla crescita dei 5S, con la discesa in campo di Conte, corrisponderebbe un calo del Pd. Marcato secondo Swg: un meno 4,3 per cento che porterebbe i dem al 14,2 per cento dei consensi, sotto Fratelli d’Italia. Anche secondo Emg Acqua il partito di Zingaretti avrebbe una netta flessione (fino al 14,5 per cento circa) mentre per Demopolis il Pd pagherebbe dazio in modo meno evidente, con un paio di punti percentuali.
Conte potrà sfruttare una finestra di popolarità molto elevata che ovviamente non sarà infinita. Bisognerà vedere, perché si consolidi il dato del movimento, quanto l’ex premier sarà capace di lavorare da capo di partito, andando sul territorio e ricostruendo la scala gerarchica. E’ indubbio che gran parte del consenso, se l’operazione riuscirà, verrà dalle stesse forze di centrosinistra. Malgrado il tentativo di ridefinirsi moderati e liberali, non credo che i 5S abbiano grande attrattiva sull’elettorato di centro, forse qualcosa solo dentro Forza Italia. Tesi confermata da Pietro Vento, direttore di Demopolis: ‘Da dove proverrebbe, in termini di consenso, il valore aggiunto di Conte al M5S? Quasi 2 punti percentuali verrebbero da elettori del Pd, un altro punto dall’area di centrosinistra. La parte più consistente, circa 3 punti percentuali, proverrebbe dal recupero di una parte significativa degli attuali astensionisti e di un segmento di ex elettori del Movimento confluiti poi nel non voto’.
Ciò significa che l’arrivo di Conte, se premia i 5 Stelle e penalizza il Pd, consente al momento un avanzamento solo limitato dell’alleanza giallorossa. Che resterebbe indietro, come consenso totale, rispetto al centrodestra.
Al Nazareno non piace, alla maggioranza di dirigenti e iscritti, l’idea di un Conte ‘federatore’ del centrosinistra. Il Pd rischia il declino, denuncia la minoranza riformista dem: ‘Serve con urgenza un rilancio politico e identitario che passi necessariamente per un congresso. La macchina sta sbandando, non possiamo continuare a schiacciarci dietro M5s facendoci scippare l’agenda Draghi da altri, mentre deve essere la nostra’, dicono Lorenzo Guerini e Luca Lotti, leader di Base riformista, lanciando un ultimatum al segretario: o si fa un congresso vero in autunno, oppure sarà rottura.
Zingaretti voleva magnificare la nuova alleanza nel Lazio da lui governato, con l’ingresso in maggioranza dei grillini: ‘Da qui costruiamo un modello possibile di nuovo centrosinistra allargato’.
Per Zingaretti l’ex premier doveva diventare il leader del centrosinistra, federatore della gloriosa alleanza con M5s, e il futuro candidato premier.
Grillo, dal canto suo, ha elaborato una controfferta: quella di diventare il leader dei Cinque Stelle.
‘Il faro dei progressisti mondiali’, come lo definiva il capo dem, alla fine è scappato dai Cinque Stelle. Pure Leu, il micropartito di D’Alema e Speranza, ora si vuole imbarcare nel M5s contiano.
‘Giuseppe Conte ha guidato due governi. Nel primo ha subito alcune tra le norme più immorali della storia repubblicana, quei decreti sicurezza che il secondo governo, ancora da lui presieduto, ha modificato radicalmente. I sedici mesi del Conte due sono stati segnati dalla tragedia della pandemia e dalla svolta a 180 gradi nella politica seguita in precedenza verso l’Europa. In sintesi, quel governo verso il quale noi siamo stati molto più che leali ha affrontato i mesi terribili dell’emergenza sanitaria e ha consentito all’Italia di giocarsi adesso la chance della ripartenza dopo la pandemia. Non abbiamo edificato il socialismo, ma mi lasci dire che abbiamo messo in sicurezza il paese in uno dei passaggi più difficili della sua storia’, osserva Gianni Cuperlo: ‘Nel corso dell’ultimo anno Conte si è mostrato capace di guidare il governo nonostante i tentativi frequenti di accorciarne la vita, in questo senso è stato il vero elemento di equilibrio di quella maggioranza nata nella maniera che sappiamo e periodicamente bombardata dall’interno per esigenze di visibilità. Ora, dirlo significa rimuovere la stagione della faccia truce sui migranti? No, perché la cronaca come la storia non si sbianchetta. Dirlo significa rivendicare il buono che assieme abbiamo fatto dopo, senza negare i limiti. Passando da capo del governo a leader dei 5Stelle è mutato anche il ruolo politico che Conte è destinato a interpretare. È chiaro che con il Movimento 5 Stelle, come con LeU, l’alleanza è in costruzione e va rafforzata a cominciare dalle prossime amministrative, ma con tutta evidenza ora Conte di quella formazione è divenuto il capo. A lui i migliori auguri perché possa consolidare il legame del movimento con l’Europa ancorandolo così al campo del centrosinistra. Quanto a noi occupiamoci seriamente del consenso e dell’identità del Pd. Il punto è che se il consenso a quel governo ha retto sino all’ultimo è perché di fronte alla peggiore crisi economica e sanitaria dell’ultimo mezzo secolo si sono date risposte che hanno consentito a milioni di famiglie, lavoratori, pensionati, di reggere l’urto. Se non si riconosce questo è difficile spiegare il clima dei mesi alle spalle. Oggi il Pd è un partito che oggi è forte nel Palazzo e assai più debole nel paese. Credo che un percorso congressuale vada avviato presto. Aggiungo che da mesi stiamo discutendo in decine di incontri un documento (Radicalità per Ricostruire) dove abbiamo indicato la rotta che dovrebbe avere una rifondazione del Pd. E’ un testo che sta aggregando persone diverse, in tanti casi esterne a noi, spesso deluse dal Pd che trovano sul loro territorio, dove si ragiona di nuovi diritti umani nel mondo e di quelli nel mercato del lavoro di casa nostra, di beni comuni, della funzione di uno Stato innovatore, del gender gap e di un modello di sviluppo fondato sulla dignità di ciascuno e non su un profitto senza etica. Si prova a declinare una politica industriale e una riforma della fiscalità a un quarto di secolo dall’ultima seria riscrittura del patto fiscale, si indicano i termini di un progetto educativo spalmato lungo il corso della vita e si mette al centro la lotta a mafie e disuguaglianze cominciando da quelle di nascita e di censo. Per me è fondamentale ripensare il Pd, rifondare democraticamente il suo modo di discutere, organizzarsi, selezionare la classe dirigente. Però tutto questo lo devi collocare in un disegno fatto di alleanze, e quelle non le costruisci solo dentro le istituzioni, quelle vivono nella società e nei conflitti che genera. A Milano, Pisapia e poi Sala non avrebbero vinto solo con i partiti, ce l’hanno fatta perché assieme a quelli si è mobilitato il civismo migliore, la rete delle associazioni, una griglia di personalità e un pezzo di popolo. Per me rifondare il Pd ha senso in questa dimensione: se allarghiamo il campo e proviamo a includere quanti, e sono tanti, ci osservano da fuori perché non trovano in noi le motivazioni, spesso neppure i sentimenti, per sentirsi accolti dentro una comunità’.