Pensionamento volontario a 72 anni: una prospettiva di sostenibilità per il sistema pensionistico italiano, il Sistema Sanitario e la trasmissione dei saperi

Negli ultimi decenni, l’Italia ha assistito a significativi cambiamenti demografici, con una diminuzione della natalità e un costante allungamento della vita, una delle più impegnative transizioni demografiche della sua storia, a cui si aggiunge il completarsi del pensionamento della generazione dei baby boomers.

Innanzitutto, la denatalità è un problema serio che l’Italia sta affrontando. D’altra parte, i dati demografici dicono che in Italia l’aspettativa di vita è aumentata di circa 20 anni rispetto alla prima decade del 1900. Visto l’allungamento medio della speranza di vita alla nascita (in Italia 85 anni per le donne e 82 per gli uomini) è necessario aggiornare il concetto di anzianità e un 65enne non può oggi essere considerato anziano.  Secondo la Geriatria, infatti, non è rilevante stabilire soglie per l’anzianità, in quanto le implicazioni sono soprattutto politiche e sanitarie, perché “l’anziano” non è solo una categoria medica, quanto socio-demografica. Le persone sane tra i 64 e i 74 anni, per la loro performance fisica e mentale possono, quindi, essere considerate “giovani anziani”, ben in grado di dare il loro contributo attivo alla società.

L’allungamento della vita è un elemento positivo, ma implica anche una maggiore necessità di risorse finanziarie per supportare gli anni di pensione.

Basso tasso di natalità e longevità hanno messo sotto pressione il sistema pensionistico del Paese, rendendo necessaria una riflessione approfondita sulle modalità di garantire una sostenibilità a lungo termine.

Ritardare l’età del pensionamento potrebbe contribuire a ridurre questa pressione finanziaria.

Una delle proposte che sta guadagnando sempre più attenzione è l’introduzione del pensionamento volontario a 72 anni, rispetto all’attuale limite di pensionamento per vecchiaia di 67 anni fissato dalla legge Fornero.

Per far fronte alle sfide demografiche e garantire al contempo la stabilità del sistema pensionistico italiano, i 72 anni potrebbero rappresentare una soluzione pragmatica al numero sempre più esiguo di giovani contribuenti rispetto agli anziani pensionati che pone un carico eccessivo sul sistema previdenziale. Dal punto di vista della sostenibilità economica, il pensionamento volontario a 72 anni potrebbe anche offrire vantaggi significativi. L’implementazione di politiche di supporto, come programmi di formazione continua e agevolazioni fiscali per coloro che scelgono di prolungare la propria carriera, potrebbe incentivare positivamente questa opzione.

Le possibili proposte fatte sono un superbonus per quanti scelgano di restare al lavoro oltre i 67 anni, il blocco dell’anzianità contributiva a 42 anni e 10 mesi per gli uomini (un anno in meno per le donne), l’equiparazione delle regole di pensionamento dei contributivi puri (post 1996) a quelle degli altri lavoratori.

La possibilità di un pensionamento volontario a 72 anni gioverebbe alla formazione delle nuove generazioni. Se si pone l’alta Formazione come elemento catalizzatore in grado di definire un percorso di complessiva ripresa del Paese, per formare profili professionali dotati di competenze elevate, si avrà bisogno di rilanciare l’importanza strategica dell’Università, capace di assicurare un sapere dottrinale e tecnico, abbinato a una visione culturale e sociale, non limitandosi a erogare conoscenza, ma prefiggendosi di fare conoscenza.

Si prospetta, a seguito dei prossimi pensionamenti, un vero grande taglio del personale docente di ruolo con gravi ricadute sulle risorse al sistema universitario nel suo complesso; a ciò si aggiunge il numero di professori ordinari attualmente insufficiente per la gestione dei concorsi a professore e delle abilitazioni scientifiche nazionali, e la riduzione dello stesso, che potrebbe aggravare la situazione e rallentare l’entrata di nuove risorse.

I professori universitari che sceglieranno di prolungare la propria vita professionale oltre i 70 anni potrebbero continuare a contribuire all’economia e alla società con le proprie competenze ed esperienze. Ciò favorirebbe la continuità e la trasmissione di conoscenze nei vari settori, promuovendo un ambiente di lavoro resiliente.

In campo medico e sanitario, i docenti più anziani rappresentano una risorsa per la nuova generazione di studenti di Medicina e della Scuole di Specializzazione, deficitarie di professionalità attive che avranno il vantaggio di essere formati da figure con una enorme casistica clinica e esperienza assistenziale.

La situazione sanitaria non è meno preoccupante, vista la carenza dei medici nel Sistema Sanitario Nazionale e Regionale (SSN). E’ sotto gli occhi di tutti che il nostro SSN da sempre vede parimenti impegnati in prima linea sia il personale SSN che quello universitario operante nelle Aziende Ospedaliere Universitarie integrate con il SSN e nei Policlinici Universitari (art. 2, c. 2, a) e b) del DL., n. 517, 1999). La mission dei docenti universitari in assistenza, per stato giuridico, prevede funzioni tra loro indissolubili quali la didattica, la ricerca e l’assistenza. Molto spesso i medici docenti universitari dopo aver svolto le ore di lavoro di assistenza continuano la loro attività lavorativa facendo lezioni agli studenti o effettuando training o lezioni a colleghi medici in formazione specialistica.

Inoltre va ricordato come proprio nella fase emergenziale della pandemia COVID-19, sono state messe in “campo” le abilità e le competenze non solo del personale del SSN ma anche di quello universitario. Questa estrema sinergia di forze ha permesso di far fronte alla imponente emergenza sanitaria.

Per contrastare le carenze di personale, a decorrere dal 1° gennaio 2023 e fino al 31 dicembre 2026, è stato proposto di elevare il limite di età per il pensionamento su base volontaria a 72 anni per il personale medico, dipendente o convenzionato, del SSN, e per i docenti universitari impegnati in medicina e chirurgia, vista la carenza oggettiva di medici nella Sanità pubblica, mentendo in servizio circa 1200  dirigenti medici e sanitari, di cui 340 direttori di struttura complessa e 245 responsabili di struttura semplice.

L’opportunità di mettere a terra il Piano Nazionale Prevenzione 2020-2025 per la pianificazione di interventi di prevenzione e promozione della salute, ha bisogno di professionalità di esperienza clinica, persone che rivestono ruoli apicali e di grande esperienza professionale capaci di guidare il passaggio e il trasferimento delle conoscenze alle nuove generazioni.

Il pensionamento volontario a 72 anni potrebbe rappresentare una soluzione sostenibile per affrontare le sfide demografiche e finanziarie del Sistema Italia. Una prospettiva che, se attentamente valutata e implementata, potrebbe garantire una transizione graduale verso una società in cui la longevità e la sostenibilità coesistono armoniosamente.

Le critiche prospettate da qualche sindacalista che si oppone alla possibilità di un pensionamento volontario a 72, sembrano esprimere una volontà di togliere alla disponibilità del servizio pubblico personalità mature in esperienza, regalandoli al privato.

Laura Di Renzo, Professore ordinario di Nutrizione Clinica

Vicepresidente Nazionale, Comitato Nazionale Universitario

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