Sessantasette anni secchi dal 2019 per tutti, 68 dal 2031, 69 e un mese dal 2045, 70 dal 2057. È la corsa dell’età pensionabile, in connessione con l’aspettativa di vita, come indicata nero su bianco dall’Istat nelle tabelle dell’ultimo scenario demografico 2016, inserite nelle anticipazioni dell’ultimo Rapporto della ragioneria generale dello Stato sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario.
In attesa di verificare come si chiuderà, in autunno con la legge di Bilancio, la partita aperta tra sindacati e governo sugli incrementi dei requisiti previdenziali collegati all’aumento della speranza di vita, i tecnici dell’Istituto di statistica, dopo le anticipazioni del presidente Giorgio Alleva, hanno comunque prodotto le nuove tabelle con le previsioni puntuali anno per anno. Vediamo, dunque, che cosa potrà cambiare dal 2019 al 2065 per i diversi tipi di pensionamento.
Per la pensione di vecchiaia normale, valida per tutti coloro che hanno cominciato a lavorare prima del 1996, si passerà dai 66 anni e sette mesi attuali a 67 anni nel 2019. A questo primo step seguiranno aumenti ogni due anni: e così si arriverà a 67 anni e tre mesi nel 2021 e via di seguito in media di due mesi in due mesi, fino a toccare i 67 e 6 mesi nel 2025, i 68 anni nel 2031, i 68 e 5 mesi nel 2037, i 69 e un mese nel 2045, i 69 e sette mesi nel 2051, i 70 anni nel 2057, i 70 e sei mesi nel 2065.
Per capirci, i nati dal 1963 in avanti dovranno attendere i 68 anni per lasciare il lavoro attraverso questo canale. Quelli nati dal 1987 in poi dovranno raggiungere i 70 anni.
Per la pensione anticipata, invece, vale solo il requisito dei contributi, a prescindere dall’età. Ma anche in questo caso si tratta di soglie destinate a salire con gli stessi criteri indicati. E così nel 2019 si passerà dagli attuali 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi per le donne (di contribuzione) a 43 anni e tre mesi e a 42 anni e tre mesi. Nel 2021 si arriverà a 43 e 42 e sei mesi, nel 2025 a 43 e 42 e 9 mesi, nel 2031 a 44 e 43 e tre mesi, nel 2037 a 44 e 43 e 8 mesi, nel 2045 a 45 e 44 e quattro mesi. Si toccherà addirittura quota 45 e 44 e 10 mesi nel 2051, per raggiungere i 46 e 45 e tre mesi nel 2057 e finire 46 e 45 e nove mesi nel 2065.
Un canale a parte è quello previsto per i giovani nati tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, che hanno cominciato a lavorare dal 1996 e ai quali si applica interamente solo il sistema di calcolo contributivo: l’età pensionabile è più bassa, ma la pensione è ottenibile solo se si maturerà un importo minimo di pensione pari a 1.200 euro del 2012. In questo caso si potrà andare via con tre anni di anticipo rispetto all’età pensionabile valida in generale: a 64 anni nel 2019, a 64 anni e tre mesi nel 2021, a 64 e sei mesi nel 2025, a 65 anni nel 2031, a 65 anni e 5 mesi nel 2037, a 66 anni e un mese nel 2045, a 66 anni e sette mesi nel 2051. Per salire a 67 anni nel 2057 e a 67 anni e sei mesi nel 2065.
Con gli attuali lavori discontinui e sottopagati per i giovani sarà, però, difficile che questo canale di uscita possa essere utilizzato. E, non a caso, uno dei nodi sul tavolo del confronto governo-sindacati riguarda proprio l’eliminazione del livello minimo di rendita da ottenere per poter andare in pensione con questa via.