In pensione a 62-63 anni con il sistema contributivo, con uno scalone di 5-4 anni che permette poi di ricalcolare l’assegno pensionistico a 67 anni seguendo i criteri del sistema retributivo. Questa la riforma voluta dal Presidente dell’Inps Pasquale Tridico, che ha proposto una sorta di sistema a “doppia uscita” per andare a sostituire Quota 100, ormai in scadenza.
Se la riforma di Tridico dovesse passare, i lavoratori potrebbero andare in pensione a 62/63 anni – quindi anticipatamente – accettando di ricevere un assegno calcolato con il sistema contributivo. Questo vorrà dire in pratica che, ai fini del calcolo si terrà conto:
- della retribuzione annua dei lavoratori dipendenti o i redditi conseguiti dai lavoratori autonomi o parasubordinati;
- dei contributi di ogni anno sulla base dell’aliquota di computo;
- del montante individuale che si ottiene sommando i contributi di ciascun anno opportunamente rivalutati sulla base del tasso annuo di capitalizzazione derivante dalla variazione media quinquennale del PIL determinata dall’ISTAT.
Al montante contributivo, poi, dovrà essere applicato il coefficiente di trasformazione, che varia in funzione dell’età del lavoratore, al momento della pensione.
Attualmente, per esercitare la facoltà di opzione è necessario che i lavoratori abbiano un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31 dicembre 1995 e possano far valere, al momento dell’opzione, una anzianità contributiva di almeno 15 anni, di cui cinque successivi al 1995.
Una volta passati i 4-5 anni, con il nuovo sistema voluto da Tridico, al contribuente potrà essere riconosciuta la pensione di anzianità tramite sistema retributivo. Tale sistema di calcolo si basa su tre elementi:
- l’anzianità contributiva, data dal totale dei contributi fino a un massimo di 40 anni, che il lavoratore può far valere al momento del pensionamento e che risultano accreditati sul suo conto assicurativo, siano essi obbligatori, volontari, figurativi, riscattati o ricongiunti;
- la retribuzione/reddito pensionabile, data dalla media delle retribuzioni o redditi percepiti negli ultimi anni di attività lavorativa, opportunamente rivalutate sulla base degli indici ISTAT fissati ogni anno;
- l’aliquota di rendimento, pari al 2% annuo della retribuzione/reddito percepiti entro determinati limiti stabiliti con legge per poi decrescere per fasce di importo superiore. Ciò vuol dire che, se la retribuzione pensionabile non supera tale limite, con 35 anni di anzianità contributiva la pensione è pari al 70% della retribuzione, con 40 anni è pari all’80%.
L’importo della pensione in questo caso si compone di due quote:
- la quota A che è determinata sulla base dell’anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 1992 e sulla media delle retribuzioni degli ultimi 5 anni, o meglio, delle 260 settimane di contribuzione immediatamente precedenti la data di pensionamento per i lavoratori dipendenti, e dei 10 anni (520 settimane di contribuzione) immediatamente precedenti la data di pensionamento per i lavoratori autonomi;
- la quota B che è determinata sulla base dell’anzianità contributiva maturata dal 1° gennaio 1993 alla data di decorrenza della pensione e sulla media delle retribuzioni/redditi degli ultimi dieci anni per i lavoratori dipendenti e degli ultimi 15 anni per gli autonomi.
Attualmente l’ordinamento previdenziale prevede il pensionamento tramite:
- sistema retributivo, che si applica alle anzianità contributive maturate fino al 31 dicembre 2011 dai lavoratori con almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995;
- sistema contributivo, esclusivamente per i lavoratori privi di anzianità contributiva al 1° gennaio 1996 e per i lavoratori che, in base a istituti attualmente vigenti, conseguono la liquidazione della pensione con il calcolo contributivo;
- o sistema misto, che si applica ai lavoratori con meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 e a decorrere dal 1° gennaio 2012 anche ai lavoratori con un’anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni al 31 dicembre 1995.
Inoltre, l’Inps riconosce ai lavoratori anche il ricorso al cd. “montante contributivo”, che rappresenta il capitale che il lavoratore ha accumulato nel corso degli anni lavorativi.
Il nuovo sistema proposto da Tridico, quindi, riconoscerebbe una sorta di doppia uscita ai contribuenti, che – come anticipato sopra – riceverebbero un assegno pensionistico calcolato seguendo i criteri del contributivo dai 62/63 anni fino ai 67 anni. L’importo, poi, verrebbe ricalcolato al raggiungimento dell’età pensionabile, con un assegno calcolato questa volta sulla base dei criteri del sistema retributivo.
La soluzione proposta allo scadere di Quota 100, così come prospettata, non piace però ai sindacati. I segretari di Cgil, Cisl e Uil, nello specifico, si sono dichiarati contrari alla proposta di Tridico, bocciando completamente il nuovo sistema a doppia uscita.
“Ci opponiamo all’introduzione di sistemi penalizzanti nel calcolo dell’importo della pensione. Non ci piace l’ipotesi di spacchettare in due l’assegno come propone Tridico”, ha dichiarato Roberto Ghiselli, segretario Cgil.
“Non ci sembra idonea l’idea di una pensione pagata in due rate. La flessibilità in uscita è comunque un’esigenza colta da tutti, anche dal presidente Inps. Bisognerà confrontarsi con il Governo per capire come costruirla. Siamo fiduciosi”, ha invece commentato il segretario della Cisl, Ignazio Ganga.
Forti opposizioni sono arrivate infine da parte di Uil e UGL, favorevoli al ricorso ad un sistema più flessibile, ma contrari alla proposta del Presidente Inps.
Sul post Quota 100, dunque, tutto sembrerebbe ancora da decidere.