Pensioni, a rischio le forme di anticipo scelte da milioni di italiani

Il nuovo Governo dovrà fare i conti  col ritorno alla Legge Fornero e col più che probabile addio a Quota 102, Opzione donna e Ape sociale

Uno dei temi caldi sul quale dovrà misurarsi il futuro nuovo Governo di centrodestra a guida Fratelli d’Italia sarà sicuramente quello delle pensioni. Dopo il giuramento e l’insediamento, però, l’Esecutivo avrà il fiato sul collo per arrivare preparato all’appuntamento previdenziale di fine anno.

I sindacati temono un nuovo “scalone”, determinato da due fattori nefastamente coincidenti: l’inevitabile ritorno integrale a gennaio 2023 della Legge Fornero e la necessità di adeguare i trattamenti pensionistici al tasso dell’inflazione. E il rischio di stop per tre modalità d’uscita anticipata si fanno più concreti.

Gli scenari e i rischi sull’uscita anticipata

La previsione degli esperti non è decisamente delle migliori. Senza nuovi interventi entro dicembre, quando cioè scadranno le “opzioni” in vigore, con l’arrivo del nuovo anno diremo addio in un colpo solo a tre canali d’uscita anticipata: Quota 102, Opzione donna e Ape sociale. Con sullo sfondo l’incubo, sopra citato, della rivalutazione obbligata delle pensioni che farà impennare la spesa previdenziale del 7,9%.

Secondo Cgil, Cisl e Uil, il triplo stop contemporaneo delle forme di previdenza causerà un aumento deciso della soglia di pensionamento dai 62 anni di quella che era Quota 100 (poi diventati 64 con Quota 102) ai 67 anni del requisito di vecchiaia. È il tanto temuto “scalone”, che però dovrà prendere a riferimento i vincoli d’età stabiliti dalla riforma Fornero.

L’allarme (e la ricetta) dei sindacati

I sindacati non ci stanno e rilanciano la loro posizione. Secondo il segretario della Cisl, Luigi Sbarra, è necessario “costruire un’intesa con il nuovo Governo entro dicembre, perché sappiamo che scade Quota 102 e dal 1° gennaio si presenta uno scalone di 5 anni che porta l’età di vecchiaia a 67 anni”.

Da qui nascono le due alternative proposte dalle sigle sindacali riunite nella stessa battaglia:

  • la richiesta di dare il semaforo verde a Quota 41, cavallo di battaglia della Lega di Matteo Salvini;
  • garantire per tutti uscite con 62 anni.

Conti pubblici in rosso

Si tratta di “ricette”, va sottolineato, difficilmente compatibili con l’attuale stato dei conti pubblici italiani, messi in forte difficoltà dalla crisi internazionale. Una situazione che sembra destinata a peggiorare, visto che la spesa pensionistica salirà certamente nel 2023 di circa 24 miliardi di euro. Senza contare l’adozione di Quota 41 e le proroghe di Opzione donna e Ape sociale, che portano il conto totale a quasi 30 miliardi.

Secondo le stime dell’INPS, per garantire le uscite con 41 anni di versamenti a prescindere dall’età anagrafica servirebbero il solo primo anno ben 4 miliardi di euro. Stando ai calcoli di sindacati e Lega, che vedono i beneficiari effettivi inferiori di numero rispetto a quelli potenziali, il costo non sarebbe superiore a 1,3-1,4 miliardi. Resta tuttavia il problema delle coperture finanziarie, da reperire in breve tempo e con estrema precisione.

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