Lo stop alla rivalutazione automatica delle pensioni per gli assegni superiori a tre volte il minimo è incostituzionale. A sollevare la questione di legittimità costituzionale erano stati, con varie ordinanze tra il 2013 e il 2014, il Tribunale di Palermo, sezione lavoro; la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna; la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria. E’ la Consulta, con una decisione lungamente attesa dai sindacati e paventata dal governo, ad aver bocciato la norma con cui l’allora governo Monti, decise, per far fronte alla grave crisi economica che attanagliava il Paese, di bloccare l’adeguamento al costo della vita per gli assegni dai 1.400 euro lordi in su. Non propriamente, dunque, pensioni d’oro. Ad elaborare la norma l’ex ministro del Lavoro, Elsa Fornero, che la inserì nel Salva Italia, il decreto che accolse anche la draconiana riforma delle pensioni e che peserà sui conti pubblici, come già calcolato prima della sentenza, per quasi 5 miliardi di euro, 1,8 mld per il blocco effettuato nel 2012 e 3 miliardi per quello nel 2013. A far decidere i magistrati della Corte Costituzionale il richiamo generico alla “contingente situazione finanziaria, senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi così fortemente incisivi”, si legge nella sentenza. “Deve rammentarsi che, per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull’ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato. La censura relativa al comma 25 dell’art. 24 del decreto legge n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività”. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36 Costituzione) e l’adeguatezza (art. 38). Quest’ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà” (art. 2) e “al contempo attuazione del principio di eguaglianza”, (art. 3). Il blocco dell’indicizzazione delle pensioni scattato con il Salva Italia e ora bocciato dalla Consulta ha toccato una platea di circa 6 milioni di persone, ovvero quante sono quelle con un reddito da pensione superiore ai 1.500 euro mensili lordi, secondo gli ultimi dati dell’Istat sulla previdenza, aggiornati al 2013. Lo stop alla perequazione ha infatti interessato gli assegni superiori a tre volte il minimo, circa 1.500 euro al mese. Guardando alle percentuali si tratta di oltre il 36% del totale degli oltre 16,3 milioni di pensionati italiani. E la Consulta affonda il colpo quando sancisce che la norma causò un “irragionevole sacrificio” nel nome “di esigenze finanziarie non illustrate nel dettaglio” e fece di fatto saltare il diritto ad una prestazione previdenziale adeguata. Esultano i sindacati che dal 2011 denunciano lo ‘scippo’ ai danni dei pensionati e si vedono confermare la necessità di rimettere mano alla riforma Fornero.”Ora è bene sanare questa ingiustizia perché i pensionati meritano di vedere tutelata la propria pensione, così come abbiamo sempre sostenuto fin dal governo Monti”, scandisce il segretario generale dello Spi-Cgil, Carla Cantone. Soddisfatta anche la Uil. “È una sentenza che finalmente fa giustizia. Adesso il Governo Renzi restituisca il maltolto a milioni di pensionati, dicono all’uniscono il segretario confederale, Domenico Proietti e il segretario generale Uil pensionati, Romano Bellissima. A invocare un cambio di passo è la Cisl. “Il pronunciamento della Consulta deve servire da monito per il futuro, sia per il Governo che per il Parlamento. Il risanamento della finanza pubblica si realizza intervenendo sulle enormi aree di spreco ed inefficienza della spesa pubblica e aggredendo la corruzione e l’illegalità fiscale non riducendo i diritti fondamentali riconosciuti da uno Stato sociale che va, anzi, preservato e ammodernato per affrontare più efficacemente le nuove emergenze sociali e per continuare a soddisfare i bisogni della popolazione nell’età anziana”, spiega il segretario confederale, Maurizio Petriccioli. Ancora non sono stati effettuati i calcoli ma è chiaro che la sentenza ha conseguenze rilevanti sul bilancio pubblico.
Cocis