Pensioni di invalidità a 286 euro: “Troppo basse, sono incostituzionali”
Il caso arriva alla Consulta che dovrà pronunciarsi sull’adeguatezza dell’importo e sui requisiti anagrafici per la concessione delle pensioni per l’invalidità totale.
Scoppia il caso delle pensioni di invalidità: l’importo di 286 euro mensili, da riconoscere in 13 mensilità, è stato definito “insufficiente a garantire il soddisfacimento delle elementari esigenze di vita” dal giudice della sezione lavoro della Corte d’Appello di Torino.
Sarà dunque la Consulta a pronunciarsi, la prossima settimana sull’adeguatezza dell’importo e sul mancato incremento della maggiorazione sociale, per chi ha meno di 60 anni e percepisce la pensione di invalidità.
Pensioni di invalidità, i punti controversi
La prima questione che i giudici costituzionali dovranno valutare è quella relativa al riconoscimento della pensione di invalidità da versare ai mutilati ed agli invalidi civili di età superiore ai 18 anni per i quali sia stata ovviamente appurata, a seguito di una visita medico-sanitaria, un’inabilità lavorativa totale. Come riporta Repubblica, la norma prevedeva il versamento di una cifra pari a 234mila lire annue da ripartire in 13 mensilità, somma elevata nel tempo attraverso specifici provvedimenti legislativi e con l’incremento del costo della vita.
Nel mirino del giudice della sezione lavoro della Corte d’Appello di Torino, è finita la somma mensile di 286 euro (in particolare, nella causa trattata dal giudice la pensione ammontava, nel 2019, a 285,66 euro per tredici mensilità), definita “insufficiente a garantire il soddisfacimento delle elementari esigenze di vita”.
È stata inoltre rilevato un possibile contrasto con il contenuto dell’articolo 3 della Costituzione, per “violazione del principio di uguaglianza, ponendo a confronto l’importo della pensione di inabilità, corrisposta agli inabili a lavoro di età compresa tra i 18 e i 65 anni, e l’importo dell’assegno sociale corrisposto ai cittadini di età superiore a 66 anni in possesso di determinati requisiti reddituali, meno favorevoli di quelli di riferimento per il riconoscimento della pensione di inabilità”.
Viene ritenuto quindi ingiusto che l’invalido civile riceva meno benefici rispetto a quanto riconosciuto economicamente ai destinatari dell’assegno sociale, avendo il giudice stabilito la sostanziale similitudine tra le due condizioni.
La seconda questione che viene contestata è quella relativa all’incremento di benefici riconosciuti a determinate condizioni di reddito per invalidi civili titolari di pensione e di età superiore ai 60 anni. Anche tale disposizione risulterebbe “irragionevole” e in contrasto con gli articoli 3 e 38, primo comma della Costituzione, escludendo di fatto “quegli invalidi civili che, anteriormente al compimento del sessantesimo anno di età, si trovano in condizioni di gravissima disabilità e privi della benché minima capacità di guadagno”.
Pensione di invalidità, a chi spetta
Ricordiamo che hanno diritto all’assegno di invalidità Inps i lavoratori dipendenti, gli autonomi (tra cui, artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni e mezzadri), nonché gli iscritti ad alcuni fondi pensione sostitutivi ed integrativi dell’assicurazione generale obbligatoria. La facoltà di domanda si estende inoltre ai parasubordinati, mentre non riguarda i dipendenti del settore pubblico, per i quali si considerano valide le discipline speciali previste dalla normativa attuale.
Due sono i requisiti fondamentali:
riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo a causa di infermità o difetto fisico o mentale;
un minimo di 260 contributi settimanali – pari a 5 anni di contribuzione e assicurazione – di cui almeno 156 settimane (3 anni) nel quinquennio antecedente la presentazione della domanda.
A differenza di quanto non accada per la pensione di inabilità, non è necessaria, ai fini della richiesta per l’assegno ordinario di invalidità, la cessazione dell’attività lavorativa.