Pensioni: in manovra piccoli ritocchi, Mef permettendo…

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Il capitolo riforma pensioni riparte a settembre, dopo una lunga fase di stop dovuta al fatto che la politica ha dovuto affrontare una emergenza più impellente che era quella della crisi sanitaria ed economica Covid. Di pensioni si tornerà a parlare tra governo e sindacati   a settembre, con due summit già in calendario.

La legge di Bilancio di fine anno è l’occasione per inserire come consuetudine, il pacchetto pensioni. Molti si aspettano una riforma, soprattutto alla luce delle proposte dei sindacati che chiedono età pensionabile a 62 anni e quota 41. Ma probabilmente ad esclusione di alcuni ritocchi a misure già esistenti o in scadenza, tutto verrà rinviato. È quanto trapela da fonti vicine al dossier pensioni come sottolinea un articolo del «Il Giornale».

Ritorna pensioni al palo

Dal momento che quota 100 resterà in vigore fino alla fine del 2021, cioè fino alla fine della sperimentazione triennale con cui fu varata la misura, qualsiasi idea di riforma, con nuove misure votate alla flessibilità dovrebbero slittate al 2022. Difficilmente si potrà mettere mani alla previdenza, intervenendo immediatamente e sostituendo la quota 100 con altre misure, magari quelle che sponsorizzano i sindacati.

Tra l’altro ci sarebbero pure le solite problematiche europee, oggi ancora più severe. Ogni anno quando è il momento di varare la legge di Bilancio, occorre fare i conti con le indicazioni, i suggerimenti e gli ammonimenti di Bruxelles. Figuriamoci oggi che l’Italia per via della grave crisi finanziaria, deve chiedere soldi all’Europa, tra Recovery Fund, Mes e Sure. Possono dire ciò che vogliono, ma si tratta di debiti nella stragrande maggioranza dei casi.

E pur se Movimento 5 Stelle, Pd e tutti i simpatizzanti del governo, parlano di soldi a tasso agevolato, con poche condizionalità, non esiste soggetto che presta soldi senza imporre le sue condizioni. Difficile che la Ue possa accettare per esempio, che un Paese in crisi come l’Italia, che chiede aiuto per la crisi Covid, decida di destinare risorse per abbassare la pensione anticipata a quota 41.

Per tutti questi motivi di fatto la riforma delle pensioni è ferma. Nella legge di Bilancio dovrebbero esser previsti solo interventi minori, su Ape sociale e opzione donna, misure dal basso impatto economico, in alcuni casi, come per lo scivolo donne, autofinanziate dai tagli di assegno che subiscono i neo pensionati.

In queste settimane sono tornate a circolare le voci di quota 41 o della pensione flessibile e opzionale a 62/63 anni di età. Si è tornato a parlare di nuove misure, meno rigide in quanto ad età pensionabile e contribuzione versata, ma con forti penalità (si dice anche del 4% per ogni anno di anticipo). Proposta sponsorizzata dai sindacati come dicevamo, sulla falsariga di una vecchia idea di Cesare Damiano, che quando era presidente della Commissione Lavoro alla Camera depositò il Ddl 857 con una serie di misure previdenziali simili a quelle che oggi propongono le parti sociali.

Se ne riparlerà nei summi in calendario per l’8 e il 16 settembre, quando i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil si incontreranno con Ministro del lavoro, Nunzia Catalfo. Difficile che ci sia una proposta di riforma del sistema da parte del governo, come è difficile che il governo accetti le proposte dei sindacati, abbozzando una misura alternativa alla attuale quota 100. Tutto verrà spostato al 2021, con i summit che secondo il quotidiano di Alessandro Sallusti finiranno come al solito, con rinvii ad altri incontri e con la stesura di un piano, che getti le basi per una eventuale riforma di cui si parlerà a 2021 inoltrato.

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