‘C’è una legge in vigore e la rispetteremo’. Poche battute e il premier Paolo Gentiloni chiude la porta al ventilato blocco o sospensione dell’aumento dell’età pensionabile e degli altri requisiti contributivi dal 2019. E, dunque, a meno di colpi di scena in Parlamento, da quell’anno si potrà andare in pensione di vecchiaia solo con 67 anni di età, mentre per quella anticipata serviranno 42-43 anni di contribuzione. D’altra parte, come più volte anticipato da Qn, l’Istat ha già certificato che la speranza di vita è aumentata di 5 mesi e di altrettanto devono crescere le condizioni per l’uscita dal lavoro.
E così l’ultimo incontro pre-manovra tra governo e sindacati è servito al ministro del Lavoro, più che altro, per avvisare i leader di Cgil, Cisl e Uil che le loro richieste in materia previdenziale sarebbero state tutte respinte al mittente. A cominciare da quella più rilevante: lo stop all’adeguamento dei requisiti all’aspettativa di vita. Un niet che ha suscitato l’irritazione dei tre segretari generali e la chiamata alla mobilitazione dei pensionati della Cgil. Ma anche un niet che era nell’aria da mesi: da Bankitalia alla Ragioneria generale dello Stato, fino al vertice dell’Inps, si era levato un solo ammonimento, quello di non toccare la riforma Fornero su questo punto.
Al dunque, insomma, le misure previdenziali della legge di Bilancio saranno marginali. L’agevolazione per le lavoratrici madri (con uno sconto contributivo di sei mesi per un massimo di due anni) nell’ accesso all’Ape social favorirà non più di 4mila donne. Né avrà effetti tanto più consistenti la possibilità di ricorrere all’anticipo gratuito per chi abbia concluso un contratto a termine (e abbia esaurito gli ammortizzatori da almeno tre mesi). Altrettanto secondaria, almeno in questa fase, la parificazione fiscale tra pubblici e privati per l’accesso alla previdenza complementare. Tutto questo mentre rimane al palo l’ape volontario e su quello social arriva dall’Inps la conferma che sono state inviate al ministero del Lavoro le liste degli ammessi, anche se si procederà al riesame secondo criteri meno rigidi per evitare che restino fuori il 70% delle domande.
Nulla, invece, per la pensione di garanzia per i giovani, né condizioni più favorevoli per il pensionamento delle donne nel complesso che hanno avuto figli, così come chiesto dai sindacati (un anno di anticipo per ogni figlio con un limite di tre anni). Quanto al ritorno alla rivalutazione più favorevole degli assegni rispetto al costo della vita, già prevista fin dalla legge di Bilancio dello scorso anno: è confermata dal 2019.
Delusi i sindacati.
Voglio esprimere la preoccupazione, insiste la leader Cgil, Susanna Camusso, per la mancanza di risposte sulla previdenza. Serve un atto normativo che sospenda l’automatismo, ma allo stato attuale di questo non c’è traccia.
C’è bisogno, incalza il numero uno della Uil, Carmelo Barbagallo, di risposte significative sulla fase due della previdenza».
Drastico il segretario dello Spi-Cgil, Ivan Pedretti: ‘Con arroganza il governo non risponde ai problemi di milioni di persone e disattende gli impegni che si era preso per la seconda fase di confronto con i sindacati sulle pensioni. A questo punto non è più rinviabile una grande mobilitazione’.