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«Beffa», «presa in giro», «barzelletta e sfottò per milioni di italiani». Ci vanno giù duro Cgil, Cisl e Uil nel momento in cui vanno all’attacco della ventilata “riforma” delle pensioni. La prima bozza sfornata dal governo e finita oggi sui giornali non li soddisfa per niente. Tutt’altro. I tre sindacati sono compatti nel “no” alla «geniale idea» di sostituire l’attuale quota 100 (38 anni di contributi e 62 di età) con ‘quota 102’ e, tempo due ‘quota 104’. «La platea interessata – ricorda Proietti – è di poche migliaia di persone che hanno già avuto la possibilità di andare in pensione con quota 100». La proposta della Uil è diversa. E prevede flessibilità di accesso alla pensione diffusa intorno a 62 anni.
Stessa aria di delusione si respira in casa Cisl. Qui a non piacere è soprattutto il metodo scelto da Palazzo Chigi. «Dal governo – lamenta il sindacato in una nota – ci saremmo aspettati maggiore attenzione sul delicato tema delle pensioni». La Cisl bolla come «inaccettabili nel merito e nel metodo» le ipotesi delle due nuove quote. Da qui la richiesta di «un incontro urgente con il governo». Obiettivo: «Affrontare la questione previdenza nel suo complesso».
Durissima la reazione della Cgil, che proprio sui pensionati basa gran parte dei propri iscritti. «Ove confermata dal governo – premette Roberto Ghiselli -, la proposta quota 102 e 104 costituirebbe una vera e propria presa in giro per i lavoratori». È quel che sostiene anche la Uil. Con quei vincoli, infatti, solo poche migliaia di persone accederanno alla pensione nei prossimi anni. «Il governo ha sempre ignorato il tema pensioni – incalza il dirigente della Cgil – e ora sembra apprestarsi ad un aggiustamento raffazzonato in vista della scadenza di quota 100». Anche da questo sindacato arriva a Draghi la pressante richiesta ad aprire il confronto. «Diversamente – avverte – non staremo con le mani in mano».
Per la Fornero non va bene neanche quota 102 E’ più “saggio” andare in pensione alla soglia dei 70 anni.
In questo caso infatti «un lavoratore nato nel 1960, che abbia cominciato a lavorare nel 1985, con uno stipendio di 1.800 euro, potrebbe incassare 847 euro a 63 anni e 1.253 dai 67 anni in avanti. Oltre all’intervento che passa per l’ampliamento dell‘Ape sociale attraverso l’individuazione di nuove categorie di lavoratori che svolgono attività cosiddette gravose, il governo pensa sempre più a misure strutturali e generalizzate, non legate quindi a specifiche attività lavorative svolte».
Guardiamo nel dettaglio le ipotesi in campo. La prima soluzione prospettata da Tridico prevede l’assegno anticipato solo per la quota contributiva, la seconda, invece, punta sulla pensione intera con penalizzazioni per la quota retributiva.
Con il modello del presidente dell’Inps Tridico, come riporta il Giornale che cita La Nazione, ad essere maggiormente penalizzati sarebbero quelle persone che vanno in pensione in anticipo, le quali subirebbero un taglio importante al vitalizio. L’obiettivo dell’esecutivo, comunque, scrive il Giornale, è di approvare nel più breve tempo possibile una riforma strutturale con provvedimenti di lunga durata. Strumenti come l’Ape sociale e Opzione donna dovranno essere solo appendici alla riforma. Si tenta di evitare che, a partire dal prossimo anno, si passi in un sol colpo dai 62 ai 67 anni per andare in pensione.
Accantonata, come riporta il Giornale.it, «anche l’ipotesi dei 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Questa soluzione graverebbe in maniera insostenibile sulle casse dello Stato. Ecco perché il ricorso alla cosiddetta Ape contributiva conquista sempre più punti. Con venti anni di contribuzione, 63 anni di età e un assegno già superiore alla rendita sociale si potrebbe lasciare il lavoro e ricevere, per il momento, solo la pensione calcolata con il sistema contributivo. L’altra parte, quella quantificata con il metodo retributivo, sarebbe percepita a partire dai 67 anni di età».
Con questo sistema potrebbero andare via dal lavoro circa 200mila persone. C’è però il fatto che l’importo della pensione con questo sistema sarebbe molto basso e quindi potrebbe scoraggiare i lavoratori.
L’ex ministro Damiano, invece, ricorda infine il Giornale, propone la pensione a 63 anni e alcune penalizzazioni, solo per la parte retributiva, progressive negli anni. In questo caso, l’assegno viene preso immediatamente per intero, senza aspettare quattro anni e i disagi per i lavoratori sarebbero minori rispetto alla soluzione Tridico.