Per il governo Draghi mix di tecnici e big di partito

Si è chiuso oggi il primo giro di consultazioni del presidente incaricato Mario Draghi con gli incontri con Lega e Movimento 5 Stelle, segnato da una forte disponibilità del Carroccio.

Nuovo giro di consultazioni
Dopo la pausa nelle consultazioni di domenica, Draghi incontrerà le parti sociali lunedì mattina. Il presidente del Consiglio incaricato vedrà di nuovo i partiti dal pomeriggio di lunedì al pomeriggio di martedì per un secondo giro.

Questo il calendario di lunedì 8 febbraio:
15-15.15 – Gruppo Misto alla Camera – Minoranze linguistiche (componente gruppo misto)
15.30-15.45 – Maie – Movimento associativo italiani all’estero – Psi (componente gruppo misto Camera)
16-16.15 – Azione, +Europa-Radicali italiani di Camera e Senato
16.30-16.45 – Noi con l’Italia – Usei- Cam,biamo!- Alleanza di Centro (Componente gruppo Misto camera); Idea e Cambiamo (Componente gruppo misto Senato)
17-17.15 – Centro democratico – Italini in Europa (componente gruppo Misto Camera)
17.30-18 – Gruppo per le autonomie del Senato.

Il calendario di martedì 9 febbraio:
Il secondo giro di consultazioni proseguirà martedì mattina:
alle ore 11 con Europeisti-Maie-Cd Senato,
alle 11.45 gruppo Leu,
alle 12.30 Iv e Psi,
alle 13.15 Fdi,
alle 15 il Pd,
alle 15.45 Fi e Udc,
alle 16.30 Lega, alle 17.15 il M5s.

Infine, probabilmente martedì sera, il premier incaricato potrebbe salire al Quirinale per sciogliere la riserva sul mandato.

Formalmente Giuseppe Conte è ancora il premier in carica per il disbrigo degli affari correnti, ma ha voluto bruciare le tappe del suo esordio da leader politico, sedendosi al tavolo con i maggiorenti 5 stelle. “Oggi la famiglia si allarga”, lo ha accolto Di Maio, cercando di allontanare i sospetti di una malcelata competizione al vertice. Perché Conte il leader lo vuole fare, di cosa, se del Movimento o della coalizione, o magari di entrambi, ancora non è chiaro. Il progetto di un pugno di fedelissimi di un blitz per annullare le modifiche statutarie che prevedono una segreteria a cinque è nato e morto nel giro di un paio di giorni, per l’indisponibilità dell’avvocato di entrare a gamba tesa in un partito dagli equilibri già fragilissimi. Ma il piglio da uno che non ha nessuna intenzione di tornare a fare lezione nella sua università di Firenze è stato chiaro. “Bisogna vedere quale sarà il perimetro della maggioranza, questo è un dato importante”, ha detto Conte, tirando un’applauditissima stoccata a Renzi, e spiegando di non avere nessun rammarico, “perché prima di tutto viene il bene del paese. Aggiungendo inoltre che “per il momento non è importante sapere se io farò parte del governo”, lasciando in sospeso una possibilità che nelle scorse ore il suo entourage ha smentito. Il fondatore si è girato e si è rivolto a lui: “Ma Giuseppe, tu devi assolutamente fare il ministro al Recovery plan!”, lo ha apostrofato, un po’ serio e un po’ faceto, non sapendo o facendo finta di non sapere che le redini del piano di ripartenza rimarranno salde nelle mani del suo successore.

Il round di colloqui dell’ex presidente della Bce è dunque servito a far andare a posto i primi pezzi del puzzle. LeU, che fra i partiti della vecchia maggioranza, è il più freddo avverte però di un pericolo che in molti temono: il rischio di una compagine disomogenea, che in Parlamento potrebbe condurre a percorsi laboriosi e esporre a sgambetti ora di una forza parlamentare, ora di un’altra. I gruppi che alle Camere si collocano più a sinistra sono anche quelli che esprimono con maggiore forza la difficoltà di ritrovarsi fianco a fianco con i sovranisti della Lega. Questione posta anche dai Dem, che però hanno già messo agli atti la disponibilità a lasciare a Draghi lo spazio per trovare una sintesi. Un esempio che bene misura la distanza fra le parti è la riforma fiscale che vede contrapporre una visione alla tedesca portata avanti dalle sinistre, che ruoti dunque intorno alla progressività della tassazione, a quella leghista che da sempre punta al suo opposto, la flat tax. Ancora più urgente il blocco dei licenziamenti: la scadenza è per fine marzo, le idee su come affrontare il passaggio molto diverse.

La prossima settimana, come detto,  l’ex banchiere centrale porterà di nuovo tutti a un tavolo: ci sarà un secondo giro di consultazioni nella giornata di lunedì e già nelle prossime ore potrebbero essere ascoltate le parti sociali. Poi si passerà alle proposte e lì Draghi conta di fugare i dubbi residui, che riguardano il perimetro della maggioranza ma anche l’identikit della squadra di governo.

I Dem è certo non staranno con le mani in mano e presenteranno delle “proposte per un programma di governo forte, di lunga durata”.

Un governo con venti ministri: otto tecnici e dodici politici. Lo schema circola già sui tavoli della Camera, è oggetto di ragionamento dei leader di partito, ed è un’ipotesi di lavoro “concreta” che fa seguito alla disponibilità del premier incaricato Mario Draghi ad aprire la sua squadra ai rappresentanti delle forze che lo sostengono, per consolidare la maggioranza e, perché no, per dare un segnale non ostile a un Parlamento che in parte si è sentito commissariato dall’avvento dell’ex presidente della Bce. Draghi, sia chiaro, non ha ancora messo mano alla squadra.

I 12 posti per i politici, infatti, riflettono il peso dei singoli partiti che dovrebbero sostenere Draghi: 3 ai 5Stelle, 2 a testa per Pd, Fi e Lega, uno per Italia Viva e Leu, uno per i gruppi minori. Le incognite sono tante, e la prima riguarda ovviamente la presenza contemporanea di esponenti di soggetti politici finora lontanissimi. Ma nessuno vuole rinunciare a metterci la faccia, se l’operazione si compirà.

La Lega, come ha fatto sapere Salvini, e il Carroccio due nomi da offrire a Draghi li avrebbe già: quello di Giancarlo Giorgetti, il grande sponsor dell’ingresso in maggioranza, e quello del capogruppo alla Camera Riccardo Molinari. Giorgetti, in ottimi rapporti con Draghi, potrebbe andare allo Sviluppo economico, se non all’Economia. Ma per il dicastero di via XX settembre Draghi punta su un tecnico.

Anche se non si è entrati ancora nel confronto sulla formazione della squadra, una cosa i leader l’hanno capita: sarà Draghi a proporre una soluzione e non ci saranno trattative sui nomi. Lo schema prevalente che i partiti si attendono è quello di un esecutivo misto, con tecnici di altissimo profilo, anche di area, e con una rappresentanza snella delle forze politiche.

«Fidatevi della mia capacità di sintesi». Sarebbe stata questa una delle frasi più significative pronunciata dal presidente incaricato Mario Draghi durante l’incontro con la delegazione del Pd guidata dal segretario Nicola Zingaretti.

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