during the Serie A match between AC Milan and SSC Napoli at Stadio Giuseppe Meazza on March 21, 2010 in Milan, Italy.

Perché in Italia gesticoliamo così tanto?

Dopo la finale degli Europei di calcio vinta nel 2021 dall’Italia contro l’Inghilterra circolò un video che, per molte persone straniere, era una rappresentazione efficacissima del modo di comunicare italiano. Mostrava i calciatori della Nazionale nel corridoio che conduceva al campo, nell’intervallo, discutere del primo tempo appena concluso utilizzando una teatrale e insistente gestualità, ricorrendo in diverse occasioni al modo più italiano di muovere le mani: quello talvolta identificato con il nome “mano a borsa” o “mano a pigna”, per esprimere scetticismo o un qualche tipo di interrogativo.

Anche se non ha un nome univoco, è un gesto che chiunque associa all’Italia, e non è il solo conosciuto anche nel resto nel mondo. Ma sono molti di più i gesti che hanno un significato solo per le persone italiane, per le quali non ci sono dubbi: lisciarsi il mento col dorso della mano vuol dire qualcosa di simile a «non me ne importa nulla»; formare una forbice con l’indice e col medio serve a suggerire all’interlocutore di “tagliare corto”; darsi una manata in fronte significa che ci si è dimenticati qualcosa; unire gli indici delle mani serve a indicare il sospetto che due persone abbiano un qualche tipo di relazione amorosa; il gesto dell’“aumma aumma”, quello in cui la mano traccia dei cerchi con le dita rivolte verso il basso, indica una situazione che appare un po’ losca, e così via.

Secondo Isabella Poggi, docente di psicologia presso l’Università Roma Tre, gli italiani utilizzano nelle loro conversazioni quotidiane circa 250 gesti, che sorprendentemente sono conosciuti dalla stragrande maggioranza degli abitanti della penisola, nonostante le non trascurabili differenze dialettali e culturali che distinguono le varie regioni.

Non è chiaro però quando l’abitudine di gesticolare sia diventata così diffusa, differenziando la comunicazione italiana da quella del resto del mondo.

Una  teoria, sempre meno accettata in ambito accademico e relativa soprattutto ai gesti di uso comune a Napoli, è quella esposta dall’archeologo ed etnografo italiano Andrea de Jorio e alla sua opera del 1832 La mimica degli antichi investigata nel gestire napoletano, in cui evidenziò delle similitudini tra i gesti impiegati dai suoi contemporanei e quelli raffigurati nei motivi di alcuni vasi greci antichi che trovò nell’area di Napoli: secondo De Jorio, quindi, la tendenza a gesticolare sarebbe stata ereditata dall’antica Grecia.

In un saggio pubblicato sulla rivista di linguistica Gesture nel 2004, il linguista britannico Adam Kendon confutò parzialmente le teorie di De Jorio.

Secondo Kendon, a Napoli la gestualità divenne di uso comune per via del fatto che, in passato, gli spazi pubblici erano popolati soprattutto da persone che trascorrevano la maggior parte della giornata all’aperto, e che «la folla degli spazi pubblici napoletani, almeno fino ai recenti tempi moderni, non era fatta di gente anonima». Le persone che interagivano quotidianamente spesso erano imparentate tra loro, o comunque legate da rapporti di amicizia: era piuttosto difficile incontrare qualcuno di sconosciuto o poco familiare, insomma.

Per questo motivo, ipotizzò Kendon, la «mancanza di anonimato» finì per incoraggiare «uno stile comunicativo molto informale, che è fortemente dipendente dal contesto e al quale ben si adatta l’uso di espressioni gestuali».

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