Difficile dire quanto ne usciremo, forse il prossimo inverno come sostiene l’inventore del vaccino Pfizer, forse prima. Ma resta il dato che il Covid in Italia, in questa seconda ondata, sta facendo registrare quasi 4 morti ogni 100 casi.
Italia terza al mondo per morti Covid. E gli altri?
Il nostro Paese è il terzo al mondo per indice di letalità, cioè per numero di morti per Coronavirus. Il virus, oggi, sembra più cattivo.
Secondo quanto riportato nella classifica mondiale elaborata ogni giorno dalla Johns Hopkins di Baltimora, peggio di noi, che ci attestiamo esattamente a 3,8 morti ogni 100 positivi, poco sopra la Gran Bretagna (3,7), ci sono solo Messico, con 10 morti ogni 100, e Iran, con 5 su 100. In Germania la percentuale è dell’1,6. In Francia, circa 2, Spagna 2,8.
In pratica, c’è un morto per Covid ogni 2 minuti. Numeri allarmanti, che fotografano una situazione tutt’altro che in via di stabilizzazione. Si muore in ospedale, ma si muore anche nelle Rsa, di nuovo. Su mandato del ministro della Salute Roberto Speranza, i Nas in questi giorni hanno ispezionato 232 residenze per anziani: molti sono tornati ad essere focolai dove spesso le misure anti-contagio non vengono nemmeno attivate.
Come ha sottolineato anche Gianni Rezza, direttore generale del ministero della Salute, i 731 decessi registrati ieri, martedì 17 novembre, è un record dolorosissimo per la seconda ondata. Nella prima, un numero simile di morti si era registrato solo il 3 aprile.
Per quanto il “super” commissario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri si affanni a ribadire che siamo lontani dall’emergenza, non la pensa allo stesso modo la Siaarti, la Società di anestesisti e rianimatori. “Viene affermato che la pressione sulle terapie intensive sia sostenibile, ma in realtà nelle Regioni rosse la pressione è quasi insostenibile. In quelle arancioni è molto, ma molto pesante”.
Perché l’Italia è il terzo Paese al mondo per morti da Coronavirus
Perché dunque in Italia si muore di più? Non esiste una spiegazione certa e univoca, ma secondo gli scienziati della Johns Hopkins University un motivo sarebbe ricollegabile all’età anagrafica della popolazione, che in Italia è fra le più alte al mondo: siamo troppo vecchi, quindi.
Poi ci sarebbe il numero di tamponi eseguiti – più se ne fanno più si abbassa l’indice di letalità – ma a incidere secondo loro sarebbe anche l’efficienza del sistema sanitario, insieme alla rapidità delle cure prestate, evidentemente ritenuti poco affidabili nel Belpaese.
L’età dei positivi deceduti
Secondo l’ultimo report dell’Iss-Istituto Superiore di Sanità sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia, analisi che si basa su un campione di 41.737 pazienti deceduti e positivi al Covid, si osserva come l’età media dei pazienti deceduti e positivi al Coronavirus è 80 anni (mediana 82).
L’età media dei decessi settimanali è andata sostanzialmente aumentando fino agli 85 anni (1° settimana di luglio) per poi calare leggermente. Le donne sono 17.736, cioè il 42,5%.
L’età mediana dei pazienti deceduti positivi a SARS-CoV-2 è più alta di oltre 30 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione (48 anni). Inoltre, le donne decedute dopo aver contratto infezione da SARS-CoV-2 hanno un’età più alta rispetto agli uomini (85 contro gli 80 degli uomini).
I morti per Covid con meno di 50 anni
E i “giovani”? All’11 novembre 2020 sono 472, dei 41.737 (1,1%), i pazienti deceduti SARS-CoV-2 positivi di età inferiore ai 50 anni. In particolare, 109 di questi avevano meno di 40 anni, di cui 72 uomini e 37 donne con età compresa tra 0 e 39 anni.
Di 31 pazienti di età inferiore ai 40 anni non sono disponibili informazioni cliniche. Degli altri pazienti, 64 presentavano gravi patologie preesistenti (patologie cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità) e 14 non avevano diagnosticate patologie di rilievo.
La certificazione di decesso a causa di Covid deve essere accompagnata da parere dell’Istituto Superiore di Sanità. Per questo motivo, è stato creato un gruppo di lavoro dedicato allo studio delle cause di morte dei pazienti deceduti che risultavano positivi all’infezione da SARS-CoV-2.
L’analisi si basa sui dati contenuti nelle cartelle cliniche e nelle schede di morte ISTAT che presentano le cause di decesso di questi pazienti. La raccolta dati avviene tramite la piattaforma web covid-19.iss.it, già utilizzata dalla sorveglianza nazionale, epidemiologica e virologica, dei casi di Covid in Italia.
Le patologie preesistenti
L’Iss ha indagato anche le più comuni patologie croniche preesistenti, diagnosticate prima di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2, nei pazienti deceduti. Il dato è stato ottenuto da 5234 deceduti per i quali è stato possibile analizzare le cartelle cliniche.
Il numero medio di patologie osservate in questa popolazione è di 3,5 (mediana 3). Complessivamente, 174 pazienti (3,3% del campione) presentavano 0 patologie, 682 (13,0%) presentavano 1 patologia, 988 (18,9%) presentavano 2 patologie e 3390 (64.8%) presentavano 3 o più patologie.
Prima del ricovero in ospedale, il 21% dei pazienti deceduti SARS-CoV-2 positivi seguiva una terapia con ACE-inibitori e il 14% una terapia con Sartani (bloccanti del recettore per l’angiotensina). Nelle donne, 2072 quelle analizzate, il numero medio di patologie osservate è di 3,7 (mediana 3); negli uomini, 3162, leggermente inferiore: 3,4 (mediana 3).
Le diagnosi di ricovero
Nel 90,6% delle diagnosi di ricovero erano menzionate condizioni (per esempio polmonite, insufficienza respiratoria) o sintomi (per esempio, febbre, dispnea, tosse) compatibili con SARS-CoV-2.
In 455 casi (9,4% dei casi) la diagnosi di ricovero non era da correlarsi all’infezione. In 67 casi la diagnosi di ricovero riguardava esclusivamente patologie neoplastiche, tumori dunque, in 163 casi patologie cardiovascolari (per esempio infarto miocardico acuto-IMA, scompenso cardiaco, ictus), in 61 casi patologie gastrointestinali (per esempio colecistite, perforazione intestinale, occlusione intestinale, cirrosi), e in 164 casi altre patologie.
I sintomi più comuni in chi è morto
I sintomi più comunemente osservati prima del ricovero nei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 sono febbre, dispnea, cioè respirazione difficoltosa con affanno, e tosse. Meno frequenti sono diarrea e emottisi, vale a dire emissione, con la tosse, di sangue rosso vivo proveniente dal tratto respiratorio. Il 7,8% delle persone non presentava alcun sintomo al momento del ricovero.
L’insufficienza respiratoria è stata la complicanza più comunemente osservata in questo campione (93,9% dei casi), seguita da danno renale acuto (23,5%), sovrainfezione (19,2%) e danno miocardico acuto (11,2%).
I tempi
I tempi mediani che trascorrono dall’insorgenza dei sintomi al decesso sono 12 giorni, dall’insorgenza dei sintomi al ricovero in ospedale 5 giorni e dal ricovero in ospedale al decesso 7 giorni.
Il tempo intercorso dal ricovero in ospedale al decesso è di 6 giorni più lungo in coloro che sono stati trasferiti in rianimazione rispetto a quelli che non sono stati trasferiti (12 giorni contro 6 giorni).
Le terapie somministrate
La terapia antibiotica è stata comunemente utilizzata nel corso del ricovero (86,0% dei casi), meno usata quella antivirale (53,8%), più raramente la terapia steroidea (46,9%).
Il comune utilizzo di terapia antibiotica può essere spiegato dalla presenza di sovrainfezioni o è compatibile con l’inizio terapia empirica in pazienti con polmonite, in attesa di conferma Covid. In 1333 casi (25,9%) sono state utilizzate tutte e tre le terapie. Al 4,4% dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 è stato somministrato Tocilizumab.